La Gazzetta dello Sport, 29 dicembre 2015
La rivoluzione di Selma, la prima allenatrice araba di una squadra maschile
Non ha rinunciato al velo che le impone il suo credo religioso, ma neppure al sogno di sedere in panchina. Selma Al Majidi è la prima allenatrice araba di una squadra maschile. In Sudan a soli 25 anni è riuscita a sovvertire i pregiudizi e dirigere sul campo un gruppo di uomini, in un Paese a forte tradizione islamica, dilaniato dalla guerra civile e dalla povertà. Ma nel calcio contano i risultati, in ogni parte del mondo. E lei ha dimostrato di non essere seconda a nessuno.
Quando ha assistito al suo primo allenamento di pallone, Selma aveva 11 anni: aveva accompagnato il fratellino al campo della squadra locale, e invece di annoiarsi memorizzò in maniera ossessiva tattiche e parole del mister. «Tornati a casa, la sala da pranzo divenne un campo da calcio, gli strumenti da cucina i birilli, sulla lavagna disegnavo i miei schemi. E cominciai a vedere tutte le partite con la mia famiglia», ha raccontato alla Fifa che ha raccolto la sua storia. Quel giorno decise che il suo futuro sarebbe stato in panchina.
terza serie Ha iniziato con le giovanili dell’Al Hilal di Omdurman, squadra della sua città. Maschile, perché il calcio femminile in Sudan praticamente non esiste. «Quell’esperienza mi ha insegnato a essere paziente». E i risultati sono stati tanto positivi da attirare su di lei l’attenzione delle squadre vere. Fino alla chiamata dell’Al Nasr, club di terza divisione del Sudan. «All’inizio era difficile. Molti giocatori non volevano lavorare con me semplicemente perché sono una donna. Mi è tornata utile l’esperienza precedente: non mi ascoltavano, proprio come dei bambini». Lei non si è arresa, nonostante l’ostilità generale: «Anche in città guardavano male a ciò che facevo, per fortuna la famiglia mi ha sempre incoraggiato. E col tempo hanno imparato a rispettarmi e ad apprezzare il mio lavoro». Anche perché il campo le ha dato ragione, come sempre: «È stata una grande sfida e l’abbiamo vinta centrando la salvezza».
Essere un’icona dei diritti femminili nel mondo arabo (è stata anche citata dalla Bbc nella lista delle 100 donne del 2015) non le basta. «Sono orgogliosa di essere un modello» afferma, mentre pensa già ai prossimi obiettivi: prendere il patentino B per salire di categoria, continuare a vincere, arrivare sempre più in alto. In un ambiente, quello del pallone, che troppo spesso è riservato ai soli uomini anche in Occidente. «Spero di poter allenare presto in prima divisione, e magari un giorno di guidare la nazionale femminile del mio Paese». In Sudan ancora non esiste, ma il c.t. è già pronto.