ItaliaOggi, 29 dicembre 2015
Le Regioni del Sud da abolire
Sul Corriere della sera, in pochi giorni, sono arrivati tre rabbuffi per Matteo Renzi, firmati da editorialisti di peso. Paolo Valentino ha criticato la «linea diplomatica forte» del premier contro la Germania di Angela Merkel, convinto che le insidie politiche superino i vantaggi mediatici, a cominciare dal rischio dell’isolamento politico in Europa, proprio quando sono aperti dossier non facili per l’Italia (banche, legge di stabilità, Ilva, rifugiati). Francesco Giavazzi e Alberto Alesina hanno poi censurato la scelta del premier di affidare all’Anticorruzione di Raffaele Cantone l’esame degli eventuali rimborsi per gli obbligazionisti truffati da quattro banche: «Se il governo non si fida della Banca d’Italia e della Consob, la cosa è assai grave. Ma se le cose stanno così, il problema va affrontato direttamente, non aggirato incaricando qualcun altro di occuparsene». Infine Ernesto Galli Della Loggia ha accusato Renzi di avere dimenticato il Sud, completamente assente nella sua narrazione politica e nei piani del governo.
Su quest’ultimo punto, il governo ha risposto con una lettera di Claudio De Vincenti, sottosegretario a Palazzo Chigi, in cui si afferma che, grazie al Masterplan per il Mezzogiorno, varato da Renzi, il 2016 sarà l’anno di svolta per il Sud. Il tutto grazie a sette miliardi di investimenti per realizzare iniziative di cui si parla, in alcuni casi, da decenni: completamento della Salerno –Reggio Calabria, rilancio dell’Ilva, risanamento della Terra dei fuochi, «rigenerazione» della Basilicata, alta velocità Napoli-Bari-Taranto, senza dimenticare la banda larga e i siti archeologici. L’ennesimo libro dei sogni, destinato a fare i conti con la penuria dei fondi pubblici e con una realtà sociale che Pietrangelo Buttafuoco, tornato in Sicilia per le vacanze natalizie, ieri sul Fatto Quotidiano descriveva come «una sequenza inesorabile di emergenze: non c’è lavoro, non ci sono neppure più i negozi, l’artigianato è in mutande, gli imprenditori sono solo prenditori di quel che resta degli ultimi spiccioli del denaro di Stato, e di giovani neppure l’ombra. Sarà un problema l’immigrazione degli altri, ma qui – da dove sto scrivendo – si è tutti scappati di casa».
Sarebbe inutile aggiungere questa nota al coro del meridionalismo piagnone, che per decenni, anche senza volerlo, ha contribuito a un colossale sperpero di risorse pubbliche, che hanno finito per ingrassare solo le mafie e le clientele politiche. Per non ripetere l’errore, è però necessario chiarire un punto, che è decisivo: il Sud che ci è stato raccontato per quasi 70 anni come un’unica realtà, spesso contrapposta al Nord, non esiste più. Questo Mezzogiorno ha fatto comodo, dagli anni Cinquanta in poi, per descrivere un’Italia divisa in due, con un Centro-Nord ricco e un Sud povero, e perciò bisognoso di interventi straordinari. Questa realtà aveva un fondamento reale ed aveva un senso logico sul piano storico e politico, ma la politica ne ha approfittato nel modo peggiore: Cassa del Mezzogiorno, finanziamenti pubblici a go-go, cattedrali nel deserto, stipendi garantiti per le assunzioni facili nello Stato e nel parastato, sussidi a pioggia per le categorie più disparate, dai forestali calabresi e siciliani, fino ai disoccupati organizzati di Napoli. Miliardi buttati al vento.
Ma oggi parlare di dualismo Nord-Sud (come ha fatto Eugenio Scalfari nell’ultima omelia) non ha più senso. Quel Sud non c’è più perché il suo posto è stato preso dalle Regioni, che via via si sono sostituite sul territorio allo Stato centrale, con esiti disastrosi. Un fallimento che si è rivelato ancora più grave nelle Regioni a statuto speciale (Sicilia e Sardegna), proprio perché dotate di maggiori poteri, oltre che di maggiori finanziamenti. Da tempo, in base all’esperienza di oltre 40 anni di malgoverno, ItaliaOggi sostiene che le Regioni siano inutili e dannose, e perciò da abolire. Tesi valida più che mai per le Regioni del Sud, caratterizzate da spese fuori controllo, servizi pubblici inesistenti e bilanci in dissesto. Una situazione che, già in partenza, rende irrealizzabile il Masterplan di Renzi, che si basa su 15 progetti da attuare mediante accordi tra Stato, Regioni e città metropolitane.
Ma quali progetti potranno mai portare a compimento un governatore come Dario Crocetta e una Sicilia, che da mesi non riescono neppure ad approvare il bilancio regionale? Quale serietà di comportamenti può vantare un’assemblea siciliana che, su 90 consiglieri, ha contato ben 45 assenze nel voto sul bilancio, due giorni prima di Natale? È con questo personale politico che Renzi pensa di investire sette miliardi e di fare buon uso della flessibilità Ue? Davvero vuole accordarsi con governatori regionali che non sono riusciti neppure a presentare progetti credibili per ottenere i finanziamenti dell’Europa, dove l’Italia continua ad essere il Paese con i maggiori ritardi negli impieghi? Galli Della Loggia ha ragione quando scrive che “il Sud è uscito dall’agenda dei governi, e l’ordinamento regionale ne ha completato la rovina”. Ma se le Regioni sono il male del Sud, e lo sono, perché farci ancora affidamento con il Masterplan? Non sarebbe meglio abolirle una volta per tutte?