Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2015
La tempesta perfetta che ha colpito il Brasile
Nessuno sconto. L’ultima meraviglia di Rio de Janeiro, il Museo do Amanha, il Museo del domani, è finita sotto accusa. Di questi tempi, in Brasile, si ridiscute tutto, il ciclone “corruzione” travolge ogni opera e il budget dell’archistar Santiago Calatrava è stato sforato.
Non è importante che la lancia bianca sull’acqua, audace e aerea, sia splendida. I lavori e soprattutto i pagamenti per la costruzione del Museo do Amanha sono al setaccio degli inquirenti.
Il ripristino dell’area portuale di Rio, ridisegnata in vista delle Olimpiadi 2016, è seguito da un’accusa implacabile: “troppo cara”. Pazienza se il concept del museo, ideato dall’astrofisico Luiz Alberto Oliveira, è davvero innovativo: uno spazio per l’accelerazione delle idee. Pensato per riflettere sui cambiamenti climatici, la biodiversità, l’avanzamento hi-tech.
Un Paese irriconoscibile. Si parli di economia, politica, finanza o giustizia è quasi impossibile leggere di Brasile senza che sia associata la parola “crisi”, spesso seguita spiegazioni destabilizzanti: l’impeachment della presidenta Dilma Rousseff, la violenza dei narcos e dei poliziotti, la riduzione del rating. Qualunque sia la faccia del prisma, il gigante latinoamericano mostra una criticità.
La congiuntura
I dati economici relativi al 2015, mese dopo mese, si sono rivelati sempre più negativi. Proprio ieri il deficit pubblico primario ha toccato i 22miliardi di reais, l’ultima grana per il ministro dell’Economia, Nelson Barbosa.
Altri dati disponibili, rilasciati dall’Ibge, l’Istat brasiliana, rivelano una contrazione del Pil pari al 3,5% e un’inflazione del 10,4%. Se le previsioni verranno confermate si tratta del peggior risultato degli ultimi 25 anni. Negative anche le previsioni per il 2016: gli analisti stimano un’inflazione al 6,7% e una contrazione del Pil del 2,3%. Insomma anche il prossimo sarà un anno di crisi.
«Quando a festa se acabou», quando la festa è finita, titola un giornale di San Paolo. I consumi rappresentano una delle principali componenti del Pil e, nella fattispecie, quelli delle famiglie, costituiscono un traino o una zavorra all’economia. Così recitano i testi sacri di economia. Ebbene, di questi tempi, in Brasile, costituiscono una zavorra.
I consumi, propulsore della crescita vigorosa che ha segnato gli anni dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, sono scesi del 4,4%, «nessuno compra, nessuno vende», scrive Valor economico, il principale settimanale economico del Paese. Un dato negativo, diretta conseguenza dell’aumento del tasso di disoccupazione, salito all’ 8 per cento. Con timori di un’ulteriore accelerazione.
Male anche le esportazioni, l’altra componente del Pil: avrebbero dovuto beneficiare della svalutazione del real rispetto al dollaro e invece non sono cresciute. Il rallentamento economico della Cina e quindi la minore domanda proveniente dall’Asia è la principale spiegazione.
L’agricoltura pareva un’ inesauribile fonte di ricchezza e ora patisce un forte rallentamento.
Il settore industriale mostra una flessione importante: nei primi dieci mesi dell’anno una flessione dell’8% rispetto allo stesso periodo del 2014. Automotive, petrolio e biocombustibili sono i comparti soffrono di più.
La produzione di automobili, secondo i dati Anfavea, è caduta del 30% : dai 2,6milioni di veicoli del 2014, si è scesi a 2,1milioni.
Infine le costruzioni, un’altra importante componente del Pil, cadono a picco, registrando un -6,3 per cento. Parliamo del 2015. È qui che si saldano due fattori, uno congiunturale e uno politico. La crisi del comparto delle costruzioni che solo pochi anni fa pareva immune dal contagio da fattori esterni, è direttamente connessa alla tangentopoli brasiliana e in particolare allo scandalo Lava Jato (autolavaggio, in portoghese). Il sistema di tangenti che dal colosso energetico Petrobras si irradiava al sistema politico e di cui beneficiava il Pt (il partito dei lavoratori) di cui Dilma Rousseff è espressione.
Rischio impeachment
Un dibattito politico senza esclusione di colpi e un atto politico senza precedenti, in Brasile. Il presidente della Camera, Eduardo Cunha, ha autorizzato l’apertura del processo di impeachment contro la presidenta Rousseff, accettando la richiesta presentata da quattro partiti. Il capo di imputazione è questo: il governo, con l’obiettivo di ridurre artificiosamente le spese statali, avrebbe “girato” sulle banche pubbliche alcune passività. Rousseff si difende dichiarando di non aver commesso illeciti e il partito di governo definisce “golpisti” questi attacchi.
Intanto però la caduta di popolarità di Rousseff, è verticale. Oggi veleggia attorno al 10% di consensi. Nei giorni migliori, nel marzo 2012, aveva toccato il 77%.
I“vasi comunicanti” tra corruzione ed economia producono risultati disastrosi. L’immagine offuscata del Pt riflette la dissipazione di quel patrimonio di fiducia, quell’orgulho brasileiro, l’orgoglio brasiliano sintetizzato dal libello nazionalista «Perché mi vanto del mio Paese», scritto per il 400° anniversario della scoperta del Brasile.
Il tunnel della crisi
«Quanto è lungo il tunnel della crisi?» In un seminario organizzato poche settimane fa da Fiesp, la Confindustria di San Paolo, un relatore ha iniziato così il suo intervento.
I segnali di ripresa, per ora, latitano. Vero. Tuttavia l’emersione di questo sistema di tangenti e l’efficienza di un sistema giudiziario capace di condannare i colpevoli è un fatto certo e importante. Gli altri elementi positivi sono questi: quello demografico, l’età media dei brasiliani è molto bassa, una popolazione giovane e sempre più istruita, e quello geografico, un Paese immenso con una grande quantità di risorse.
Bruno Barba, autore di un bel libro “Rio de Janeiro, ritratto di una città” parla di «incorruttibile bellezza, nonostante le male intenzioni degli uomini». In prosa.
Invece Vinicius de Moraes, riferito alla spiaggia di Copacabana, parla di «arco d’amore vibrante». In poesia.