La Stampa, 29 dicembre 2015
Fabiola Gianotti alla guida del Cern per sfidare la materia oscura
Le particelle invisibili che corrono e si scontrano nel suo mega-laboratorio, l’anello sotterraneo di 27 chilometri al Cern di Ginevra, raggiungono velocità che sfidano l’immaginazione. Sono prossime a quelle della luce, vale a dire 300 mila chilometri al secondo. Fabiola Gianotti, dal 1° gennaio 2016 direttore generale del più grande laboratorio di fisica del mondo (e probabilmente non solo di fisica), le conosce così bene da sembrare di volerle eguagliare: parla rapidamente, come se i pensieri sopravanzassero le parole, e si muove tra un impegno e l’altro con altrettanta disinvoltura.
Strapparle un’intervista è difficile, quasi impossibile. Significa sottrarle istanti preziosi, per lei che è in corsa contro il tempo, e infliggerle domande che ha già sentito troppe volte. Ieri, in uno dei suoi blitz, si è materializzata (per poco) ad Asti e a Isola d’Asti, che l’hanno celebrata con la cittadinanza onoraria: suo padre, Agostino, era nato nel piccolo centro di Isola. E lei, tra gli scienziati più famosi al mondo, ha raccontato la propria emozione: «Erano anni che non tornavo qui, nei luoghi della mia infanzia e che hanno contribuito alla mia formazione».
Professoressa, lei è nota per non fermarsi mai: quante ore lavora al giorno?
«È difficile dirlo, perché il nostro è un lavoro che non ha orari. Dipende dai giorni, comunque, sì, dedico molto tempo alla ricerca».
Tra i suoi impegni, c’è la gestione della celebrità: ha guidato l’esperimento «Atlas», che ha contribuito alla scoperta del Bosone di Higgs, e «Time» le ha dedicato la copertina.
«È vero che c’è grande interesse da parte della società, ma è positivo: vuol dire che c’è interesse nei confronti della ricerca. Soprattutto da parte dei giovani. Ma per fortuna la mia attività principale resta sempre quella scientifica. Al Cern».
È vero che lei al Cern si sente come «una bambina in un negozio di dolci»?
«Sì. Il Cern è per un fisico un grande negozio di dolci . È un paradiso per qualunque fisico delle particelle».
Pochi giorni e sarà direttore: qual è la parola d’ordine che dirà ai colleghi o - come dite in gergo - la «mission» per le prossime ricerche?
«Continuare a inseguire l’eccellenza in campo scientifico prima di tutto, ma anche nello sviluppo tecnologico, nell’educazione dei giovani e nella collaborazione pacifica tra i popoli e tra gli scienziati che provengono da tutto il mondo».
Mentre si aspetta la ripartenza dell’acceleratore «Lhc» in primavera, c’è eccitazione per la possibile individuazione di una nuova particella che cambierebbe le nostre idee sull’Universo: siete sull’orlo di un’altra clamorosa scoperta?
«Diciamo che al momento c’è solo qualche piccola indicazione che potrebbe consolidarsi nel segnale di una nuova particella, ma tutto potrebbe anche scomparire ed essere semplicemente una fluttuazione statistica».
«Lhc» dà vita a quattro mega-esperimenti che studiano problemi immensi, dai mattoni della materia alle origini del cosmo, ma c’è una domanda-chiave che lei preferisce tra tutte?
«In realtà, no. Noi abbiamo di fronte l’intero spettro delle domande aperte, dalle caratteristiche della materia oscura alla prevalenza nell’Universo della materia sull’antimateria. Affronteremo tutte le domande e vedremo se è possibile trovare delle soluzioni. Speriamo!».
Intanto il numero dei ricercatori al Cern non smette di crescere: quanti siete ora?
«Siamo quasi 12 mila scienziati di 100 nazionalità».
È vero che siete diventati l’icona della «Big Science», la scienza dei grandi numeri, dalle persone impegnate alle macchine in funzione?
«Senz’altro la nostra è una scienza globale, che coinvolge ricercatori da tutto il mondo, ma non è l’unico esempio. Anche la fisica astroparticellare è un altro caso: coinvolge collaborazioni di tipo globale e richiede strumenti talmente complessi che non possono essere realizzati in un solo Paese o addirittura in un solo continente».
Lei è la prima donna a dirigere il Cern: si sente un po’ sola o le sue colleghe stanno aumentando?
«Siamo all’incirca il 20%».
È tanto o poco?
«È un grande passo avanti: ormai sono molte le donne che hanno posizioni di responsabilità: ci sono capo progetto e leader di gruppi di ricerca».
Un attimo di pausa, quasi impercettibile, e poi l’arrivederci. «Ora, mi scusi, ma devo proprio andare».