La Stampa, 29 dicembre 2015
A Cortina senza neve. Come nel ’67
«Cortina è virtualmente già scoppiata. Ieri sono cominciati ad arrivare turisti dalla pianura piena di nebbia. Nell’atrio dell’albergo si sente lo strepitio secco degli sci e delle racchette depositati nella rastrelliera. Per intanto stanno lì. Perché a Cortina c’è tutto, fuorché la neve. Un giallore asciutto, spezzato qua e là dai candelotti di ghiaccio sui dorsi della montagna e da una infarinatura leggera nelle conche, sotto i picchi. Tutto qui». Cronache dell’inverno 1967 – come questo del 2015 senza neve – raccontate su La Stampa del 22 dicembre di 48 anni fa dall’inviato speciale Gigi Ghirotti.
Anche allora l’Italia della neve si aggrappava al meteo: il bel tempo, a Cortina e dintorni, era «ininterrotto dalla metà di settembre». I cronisti chiedevano spiegazioni agli anziani. Che rispondevano: «La luna si è fatta nel vento» e quello stesso vento avrebbe continuato a spazzare via qualunque tentativo di nuvola fino alla luna successiva.
Prenotare una stanza a ridosso delle Feste era comunque impossibile, neve o meno. Tutto esaurito con i turisti che, rimasti a secco, si buttavano sul ghiaccio: «artificiale», specifica il cronista, e sembrava una meraviglia della tecnologia. Pattinaggio artistico, velocità, bob, anche «un gioco di bocce», il curling, che allora però si scriveva col «k»: kurling. All’epoca, tutti sport in netta crescita «ma è come offrire pasticcini a chi aspetta un cenone». Sono anche gli anni dei primi tentativi con la neve artificiale. Scriveva ancora Ghirotti: «Possibile che nell’era della tecnica più avanzata si debbano subire questi scherzi della stagione? Un anno furono sperimentati dei misteriosi razzi che avrebbero dovuto esplodere e provocare la precipitazione nevosa, ma cadde una pioggetta frammista a neve che infastidì gli ospiti e lasciò delusi gli sciatori».
Nel ’66 una società svedese aveva provato anche con un sistema di piogge radenti, ottenendo «più che altro un polverone di ghiaccioli poco apprezzato dallo sciatore e, a conti fatti, molto costoso». Restavano così rimedi che non sono disdegnati neppure nell’era dei cannoni, che tra l’altro il polverone di ghiaccioli lo producono ancora oggi. I battipista salivano con i camion oltre il passo del Giau, e arrivati in quota (dove la neve c’era) la raccoglievano dentro grandi lenzuola per poi correre a «distenderla sulle piste, giù per la schiena spelacchiata della montagna». Ma la luna si era fatta nel vento, inutile cercare di aggirare la natura. Così «verso sera, quando si leva il vento, si sente un leggero pizzicore dentro il padiglione delle orecchie, come una folata di aghi invisibili. Che cosa è? È la neve raccolta con le lenzuola, il vento se la rapisce tutta e la viene a soffiare dentro i baveri alzati dei primi ospiti della stagione».
Resta una consolazione che in vista delle prossime vacanze può sembrare magra: quel 1967 a Natale si sciò poco e solo in alta quota. In compenso le cronache di quell’anno danno conto di una straordinaria serie di nevicate primaverili, e di sciate memorabili fino a maggio inoltrato. Buono per Sestriere, che quell’anno aveva giusto rinnovato gli impianti.