La Stampa, 29 dicembre 2015
Quei bancari della filiale di Civitavecchia che hanno paura di finire indagati
Le pareti verdine da obitorio, la sala vuota, solo un cliente alla cassa, la sede della Banca Etruria di Civitavecchia, è una scatola triste e vuota. Fuori, su corso Centocelle la gente passeggia e addita quel portone come un luogo maledetto che ha portato disgrazia alla città. Qui Luigino D’Angelo ha atteso che qualcuno lo rassicurasse sul suo investimento, una vita di lavoro. Invano. E anche se la corda la ha appesa nella sua villetta di via Ugo La Malfa è qui, tra queste mura, che Luigino è morto. Il direttore della filiale è nervosissimo, mi accompagna alla porta senza tanti convenevoli. «Se ne vada, non possiamo parlare, chiedete ad Arezzo». Un dipendente spiega poi che in banca tutti adesso hanno paura di finire indagati, di diventare il «capro espiatorio per colpe di altri, di quelli che decidono veramente». E i primi avvisi di garanzia nell’inchiesta aperta alla procura di Civitavecchia per istigazione al suicidio e per truffa dovrebbero partire dopo le feste. «Non vorrei che poi magari fossimo come sempre solo noi dipendenti, solo delle pedine», dice nell’anonimato questo lavoratore di Banca Etruria.
Verso il vertice
Quel che è certo è che nella catena di responsabilità si partirà dal basso, dal funzionario che ha convinto D’Angelo a giocare d’azzardo con i suoi soldi. E si salirà verso il vertice, fino ad Arezzo, il luogo di incontro e incrocio dei diversi filoni di inchiesta. Perché se la banca Etruria ha già tentato di scaricare il barile sostenendo che le obbligazioni sarebbero state comprate dal risparmiatore sul mercato secondario e non direttamente dalla banca, l’avvocato della vedova Carlo Ricci Barbini spiega invece che «le obbligazioni acquistate da Luigino D’Angelo potrebbero essere state emesse dalla banca in contropartita diretta». Erano cioè, in gergo bancario, «nella pancia della banca». La differenza è chiara. Perché nel primo caso la responsabilità sarebbe solo del funzionario che ha convinto D’Angelo della bontà dell’investimento, mentre nel secondo caso sarebbe la banca a dover dare molte spiegazioni. Una tesi «su cui stiamo lavorando», spiega il legale che è nel pieno delle indagini difensive terminate le quali «la signora Lidia, la vedova D’Angelo procederà con una denuncia».«Fino ad ora non lo abbiamo fatto perché stiamo ancora analizzando le carte, quelle che abbiamo chiesto alla banca e che ancora non sono tutte». E intanto l’arbitrato può attendere.
Tutti in procura
In procura il caso è all’attenzione del pm Alessandra D’Amore che ha voluto avere tutti i contratti e la storia bancaria delle persone che hanno sottoscritto obbligazioni secondarie e azioni. E prima di Natale ha ordinato una perquisizione nella filiale di corso Centocelle effettuata dagli uomini della guardia di Finanza in cui è stato raccolto diverso materiale. Tutti i dipendenti e consulenti di banca che hanno apposto la firma in calce sui contratti di vendita di azioni e obbligazioni rischiano di finire iscritti nel registro degli indagati. Saranno comunque tutti ascoltati presto in modo che possano chiarire le responsabilità e la catena di comando di questa operazione
La moglie del pensionato, Lidia Di Marcantonio, ha deciso di mantenere un basso profilo, ma non per paura e rassegnazione, spiega il legale, «è decisissima ad andare avanti, come voleva il marito». Perché Luigi nella lettera di addio chiede a lei di attivarsi, di fare giustizia, di perseguire chi lo aveva preso in giro, ancor prima che truffato. «Non lo poteva sopportare», dice un vicino di casa, «era orgoglioso e con grandi principi morali, si sentiva responsabile nei confronti della sua famiglia per essere caduto in una trappola».
Un Natale di dolore
La villetta del pensionato è chiusa, le tapparelle abbassate, i teloni sul suv e sulla moto. Lidia, dicono le amiche, si fa forza «ma è difficile». «Mi hanno tolto la vita», ripete pensando al marito e alla loro vita di prima. Fino a quel «maledetto giorno» in cui il governo ha formato il decreto salva banche e «Luigino ha capito che non c’era più niente da fare». Una stella cometa appesa ricorda che è Natale, ma non c’è aria di festa. E chi passa davanti alla villetta di questa strada residenziale nella zona alta della città, si fa il segno della croce. «Dobbiamo credere nella giustizia?», dice una signora che si inchina davanti al portoncino. «Luigi la merita. E la meritiamo tutti noi che sgobbiamo tutta la vita per risparmiare due soldi».