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 2015  dicembre 29 Martedì calendario

Sull’uranio di Saddam (che in Iraq non c’era)

Nella risposta al lettore che si domandava chi mai avesse voluto nel 2003 la guerra in Iraq, visto che oggi paiono tutti giudicarla un errore, lei non ha menzionato, a proposito delle intenzioni dell’allora Primo ministro Berlusconi, lo scandalo del falso dossier, datato 2001, sulla vendita di uranio all’Iraq da parte del Niger, confezionato a Roma, con la probabile partecipazione di qualche diplomatico minore del Niger e quella certa
del Sismi, ancora non è chiaro se in qualità di sprovveduto intermediario o artefice consapevole. Vi è stato chi, nel Sismi, ha sostenuto la seconda ipotesi, arrivando ad affermare che dietro l’operazione vi fosse un’indicazione politica, finalizzata a dare copertura alla tesi americana che Hussein avesse armi nucleari. Inoltre, sempre secondo alcune fonti Sismi, citate dai media nel 2003, sarebbe stato il premier italiano, in una conversazione telefonica, a confermare a George W. Bush l’esistenza del «dossier uranio» e soprattutto la sua fondatezza. Questo nonostante nel frattempo – ovvero tra la comparsa del dossier e le conversazioni tra Berlusconi e Bush – i documenti fossero stati analizzati e ritenuti falsi da diversi soggetti, inclusa l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica, e il nostro ministero degli Esteri. Perché non ha fatto cenno a queste vicende?
Diana Nastasi

Cara Signora,
Non appena cominciarono ad apparire notizie sulla parte che i Servizi italiani avevano recitato nella vicenda dell’«uranio di Saddam», scoppiò il classico scandalo che turba come un incubo le notti di tutti i Servizi segreti del pianeta. Il Sismi non poteva negare l’evidenza senza precipitare in una situazione ancora più imbarazzante, ma non poteva difendersi senza chiamare in causa altri servizi e pregiudicare una parte della sua rete informativa. Si formò così quel vuoto d’informazione in cui circolano liberamente le ipotesi più colorite e fantasiose. Per quanto mi riguarda smisi di prestare attenzione a quella vicenda quando, dopo l’invasione americana dell’Iraq, credetti di potere giungere a una triplice conclusione: che la fonte dei sospetti era a Londra, che le verifiche italiane erano state fatte in uno spirito di collaborazione e che il regista dell’operazione era a Washington. L’«establishment» neoconservatore della Casa Bianca era disperatamente alla caccia di un «casus belli» per giustificare l’inizio delle operazioni militari, credette di averlo trovato nella presunta vendita all’Iraq di uranio proveniente dalla repubblica africana del Niger (una ex colonia francese), e reagì con rabbiosa arroganza al rapporto negativo di un ex diplomatico americano a cui la Cia aveva dato il compito di cercare conferme sul campo.
Conosciamo la fine della vicenda. Gli Stati Uniti attaccarono l’Iraq, ma non trovarono né l’uranio del Niger, né le «armi di distruzione di massa» di cui il minerale avrebbe permesso la costruzione. Su questa vicenda, cara Signora, esiste un buon film di Doug Limon («Fair Game», in italiano «Caccia alla spia»). La sceneggiatura è stata scritta dall’ex diplomatico americano, Joseph C. Wilson, e da sua moglie, una agente della Cia che divenne il capro espiatorio dei neoconservatori.