Corriere della Sera, 29 dicembre 2015
Mezzo secolo di debito tedesco in un breve saggio di Sergio Romano
Fare luce sulla storia dell’ultimo secolo e mezzo del debito tedesco. Questo è il compito che Guido Roberto Vitale, banchiere milanese, ha affidato all’ambasciatore Sergio Romano. Per sapere «se i tedeschi abbiano saputo onorare i loro debiti» ed essere «riconoscenti e generosi». Per comprendere se «l’austerità imposta all’intera Europa possa essere più accettabile perché chi la propina è senza macchia».
Il risultato è Breve storia del debito da Bismarck a Merkel, un delizioso, piccolo libro (106 pagine) stampato dall’editore Einaudi in 1.500 copie non venali in occasione delle feste di fine d’anno, nel quale il testo di Sergio Romano è preceduto da un’«Introduzione» di Fabrizio Saccomanni, ministro del Tesoro nel governo Letta dopo una lunga e prestigiosa carriera in Banca d’Italia.
Antico come la storia del genere umano il problema del debito, privato e pubblico, non ha perduto a tutt’oggi – Banca Etruria e Grecia insegnano – un grammo della sua rilevanza e della sua attualità.
Ne è spia e causa insieme, rileva Saccomanni, la generale schizofrenia che porta a vedere il debito come un freno alle possibilità di sviluppo, mentre al deficit di bilancio si guarda come a uno stimolo alla crescita e all’occupazione, quasi che il debito non fosse la somma dei disavanzi accumulati anno dopo anno. Riconosciuto che gli squilibri finanziari non si aggiustano da sé, il compito, se non di impedire, ma almeno di governare le crisi cade nel grembo delle autorità e delle istituzioni, nazionali e sovranazionali.
Ed è qui, venendo all’Europa, alla ricerca di un nuovo sistema di governo dell’economia continentale, che entra in gioco la verifica della legittimità della Germania a dar lezioni agli Stati confratelli.
Cuore della Breve storia di Sergio Romano è il trattato di Versailles, al termine della Grande guerra. Per due volte, nei precedenti cento anni, la Francia si era trovata nei panni della nazione sconfitta: nel 1814, dopo l’abdicazione di Napoleone, trovando la comprensione dei vincitori che, col ritorno dei Borbone sul trono di Francia, scelsero di non chiedere alcun indennizzo in denaro; nel 1870, dopo la sconfitta di Napoleone III, subendo per intero la severità di Bismarck, il cancelliere prussiano che, oltre alla cessione dell’Alsazia e di gran parte della Lorena, impose un pesantissimo tributo di 5 miliardi di sterline. Nel 1919 i ruoli s’invertirono e la Francia vittoriosa nella conferenza della pace riuscì ad imporre alla Germania sconfitta il pagamento, in trent’anni, di 132 miliardi di marchi oro. Il deposito di risentimento e di desiderio di rivalsa che si formò in Germania fu tra gli elementi che, di lì a non molti anni, favorirono l’ascesa del nazismo.
Ridotte già nel 1924, ma non più onorate a partire dal 1932, le riparazioni decise dal trattato di Versailles non erano ancora state pagate quando ad esse si aggiunsero le somme dovute per le devastazioni e le occupazioni nella Seconda guerra mondiale scatenata dalla Germania.
Ma questa volta gli errori del primo dopoguerra non furono ripetuti e nella conferenza di Londra del 1953 l’intera somma dovuta dai tedeschi fu più che dimezzata, con condizioni di pagamento particolarmente favorevoli. Nel 1919, in quello che è forse il suo libro più bello, Le conseguenze economiche della pace, il grande economista John Maynard Keynes scrisse che per fare ripartire l’Europa nella giusta direzione era necessario rompere le «catene di carta» che dominavano le relazioni internazionali con un programma che prevedesse un falò per l’azzeramento di tutti i debiti, un’unione doganale, un grande prestito internazionale, la riattivazione dei commerci con la Russia.
Cancelliera Merkel, a quasi cent’anni di distanza, una ricetta valida anche per l’Europa di oggi?