Corriere della Sera, 29 dicembre 2015
La famiglia Ambrosoli è in guerra, il miele potrebbe finire in borsa
Nella disputa familiare sul miele Ambrosoli esce allo scoperto il presidente della società. Prima il bastone: «Andiamo avanti con questo piano, non mi faccio bloccare da alcuni parenti-soci, c’è un’ampia maggioranza e siamo convinti che raggiungeremo i risultati previsti». Poi la carota «natalizia»: «E comunque non ho nulla contro di loro, ci sta anche che esistano diversità di vedute». Alessandro Ambrosoli (82 anni) è il re del miele, ultimo rimasto degli otto figli del fondatore della G.B. Ambrosoli. È presidente e amministratore delegato dell’azienda di Ronago (Como), leader in Italia nella commercializzazione del miele e dei suoi derivati (caramelle e cera). Da un anno si è creata una frattura all’interno della famiglia, cioè da quando è stato chiamato un manager esterno per rilanciare l’azienda, 25 milioni di ricavi, solida patrimonialmente ma un po’ seduta sugli allori.
La prima crepa si è creata con le dimissioni di Roberto Ambrosoli dal consiglio. Poi nel corso del 2015 il dissenso è sfociato in una contestazione durissima nell’assemblea (dove sono tutti parenti) da parte di circa il 20-25% del capitale. Fino ad arrivare al Tribunale di Milano dove un giudice ha dato ragione alla minoranza bloccando l’aumento di capitale già deliberato. E adesso? «Il piano va avanti lo stesso», ribadisce il numero uno. Come? Un nuovo aumento, debito bancario o finanziamento soci.
«Nonno» Ambrosoli è stato attaccato anche sullo stipendio. E lì l’amarezza diventa nostalgia: «Quando sono entrato in azienda nel ’60 eravamo quattro fratelli con gli stessi poteri e per 26 anni tutto è filato liscio». Dal 1943, intanto, Costantino, il figlio maggiore del fondatore, era partito per il Cile creando lì, con grande successo, un’altra Ambrosoli. Esiste tuttora, vende caramelle e cioccolate ma non miele, il marchio è identico a quello italiano ed è ora in mano a una multinazionale cilena.
Dicono alcuni nipoti e pronipoti, e l’hanno scritto negli atti depositati in Tribunale, che i due Ambrosoli al vertice, Alessandro e il cugino Giovanni (79 anni), l’altro amministratore delegato, guadagnino troppo: 900 mila euro annui complessivi. «Sbagliano – dice Alessandro – noi prendiamo 287 mila euro lordi a testa». Poi c’è lo stipendio (240 mila euro per il 2015) del manager venuto da fuori, Giancarlo Monetti, 69 anni, ex amministratore delegato dell’amaro Montenegro.
Il suo arrivo e la ristrutturazione hanno spaccato la famiglia, che da anni non vede dividendi, forse l’unica medicina in grado di ricomporre la frattura. Ma non è una disputa tra generazioni, la fronda è fatta di ex (molto ex) giovani: Maria Pia 62 anni, Luca 53, Gianfranco 64 e Mario 74. Convivere con un 25% del capitale che ha lo stesso cognome e fa la guerra non può durare. L’Ambrosoli è probabilmente a un bivio e una delle possibili strade è, per la prima volta dal 1923, aprire il capitale (Borsa? Private Equity?) all’esterno.