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 2015  dicembre 29 Martedì calendario

Questo presidente della Serie B ci sa fare. Quattro chiacchiere sullo stato del nostro calcio

Il suo pallone è sempre in campo, gli altri mangiano panettone e bevono champagne, lui, Andrea Abodi, la sua serie B l’ha fatta giocare. Come in Inghilterra, dove la Premier League non si ferma mai. Dopo il Natale trascorso in campo, una bella idea di un presidente che continua a vivacizzare il mondo del calcio con progetti nuovi, con piani che fanno parlare, che vogliono costruire qualcosa, adesso ci si riposa un po’, fino al 16 gennaio. Guardando la classifica, il Crotone, sorpresa della serie B, potrebbe mettere in ansia Lotito che, come sanno a Carpi e Frosinone, non ama la provincia emergente. Abodi invece si esalta per tutto ciò che non è scontato: «Non mi piace parlare delle singole realtà, ma non c’è dubbio che la società calabrese è da apprezzare per il suo progetto tecnico, per quello societario, per il calcio che esprime». Tutto questo in una terra difficile: chissà perché viene in mente subito Locri e il calcio femminile...
Abodi è un movimentista, si agita, non solleva polvere ma progetti, piani, forse per questo quando ha tentato di scalare la Lega serie A candidandosi alla presidenza è stato respinto al mittente, vale a dire alla serie B. Vittima dei poteri forti? «O pensieri deboli?», corregge lui, affrettandosi a dire «È solo una battuta per carità». Abodi maneggia politicamente le parole, mai offendere il nemico, guai a dare l’impressione di salire in cattedra, tuttavia le sue ambizioni le ha, per esempio ci riproverà con la serie A, con quella Lega condotta da Maurizio Beretta, presidente già dimissionario e oggettivamente con una data di scadenza. Abodi sente l’urgenza di cambiare, di unire, di convogliare le varie componenti, Lega serie A, la sua, quella di B, la Lega Pro, che ha appena trovato una nuova guida in Gravina dopo un anno tormentatissimo, massì anche quella dilettanti «per un grande patto riformatore del calcio italiano».
Patto? Ma scusi presidente Abodi, l’Italia del pallone non fa altro che litigare.
«Non da noi, dove si discute, anche animatamente, ci si confronta sul piano delle idee, ma poi si è sempre cercata e trovata un’unità che si esprime in un atto fiduciario verso chi guida la Lega serie B».
Lei che da cinque anni è seduto sulla poltrona di presidente: non si è ancora stancato? Ritenterà la scalata alla Lega serie A?
«Ora penso alla serie B e solo a questa. Credo si sia fatto molto ma c’è ancora tanto da fare. Mi faccia dire ciò che è stato fatto...».
Prego. Però, mai dimenticare che quest’anno il suo campionato è partito in ritardo perché c’era chi si era sporcato con scommesse, frodi sportive e altri gravi peccati.
«Abbiamo vinto questa partita, attenti a combattere tutti i fattori di rischio, a prevenire eventuali truffe, a creare la giusta responsabilità per evitare crisi finanziarie e illeciti amministrativi. La lotta alle frodi sportive è un nostro impegno costante».
Secondo lei di che cosa ha bisogno il calcio italiano?
«Non è mia intenzione salire in cattedra, sarebbe presuntuoso da parte mia...».
D’accordo, ma parlava di «patto» alla base della riforma del calcio italiano. Cosa intende?
«Bisogna prima fare chiarezza all’interno delle rispettive Leghe e cercare poi con forza il bene comune per il calcio italiano. A volte si ha la sensazione che si cerchi tutt’altro, che si creino concorrenze e rivalità che vanno al di là anche del buon senso. Il concetto di interesse comune pare non esistere».
Da troppo tempo si parla di riforma del campionato di serie A, e non solo di questa.
«Doveroso parlarne, altrettanto farlo. Ma il modo giusto è creare un “masterplan” (traduzione: un piano strategico) che contempli tutti i valori, strutturali, economici, ambientali, gli interessi generali delle Leghe, dei club, la crescita tecnica, gli aspetti normativi. Questi e altri ancora sono i caposaldi del grande patto. Invece troppo spesso ci si ferma a discutere del numero delle squadre, delle promozioni, delle retrocessioni. No, è il sistema da riformare».
Fiducioso? E se il suo «patto» si scontra con la realtà fatta di interessi, piccoli o grandi, divisioni, litigi, quote economiche?
«Credo sia inevitabile arrivarci superando resistenze e barriere».
Chi sono i più resistenti?
«Gli interpreti di una cultura vecchia, che arriva da lontano. Pericolose quelle componenti che sono più centrali di potere che non laboratori e luoghi del poter fare».
Capitolo diritti tv. Non si è diventati schiavi di questa fonte di denaro? Usandola per giunta male.
«Non è un problema della serie B, i diritti tv non sono mai stati la nostra condizione prioritaria. Credo che con l’esclusiva a Sky si sia raggiunto un risultato importante. Sono soddisfatto».
Tempi duri per Infront?
«Non intendo entrare in questa vicenda, pur considerando Infront un’azienda molto seria...».
Va bene, va bene. Ma come si amministra una risorsa economica così importante come quella dei diritti tv.
«L’advisor deve essere un consigliere, lo dice il termine stesso, un compagno di viaggio. Prima, volevo solo dire che il risultato economico parla a favore di Infront».
Sì, ma la realtà è quella di una Lega di serie A e società che si sono consegnate a Infront. Quasi un «abbraccio mortale».
«Ribadisco che non è il caso della serie B».
Lei è più per un abbraccio tra Leghe per la riforma e la salvezza del calcio italiano.
«Per troppo tempo ci siamo guardati allo specchio dicendo a noi stessi quanto fossimo bravi. Si è perso il tempo. È arrivata l’ora, invece di lavorare insieme». La serie B batte un colpo. La Lega serie A, Beretta, risponda. Magari anche la Lega Pro. «Perché così non si può andare avanti», pensa e sostiene il prudente Abodi.