Corriere della Sera, 29 dicembre 2015
Il paradosso dell’aceto balsamico: chi ne produce di più verrà penalizzato
Per capire come si crea l’armonia di sapori e odori dell’aceto balsamico tradizionale bisognerebbe andare dove nasce, in uno dei sottotetti di Modena. Come quello di Giorgio e Giovanna Barbieri, insegnanti in pensione, produttori per tradizione e passione. «Ci vuole tanta devozione. E chi non lo conosce non è in grado di tutelarlo» spiegano, introducendo un sentore aspro, una nota di polemica. Perché nel piccolo ed elitario mondo del balsamico Dop, 250 produttori autorizzati, 8 mila litri all’anno (contro i 90 milioni del balsamico Igp), si è riaperta una frattura rimasta sopita da una decina d’anni, quando tra veleni e carte bollate si spaccò il vecchio consorzio.
C’è una data che segna il riesplodere della contesa: 23 ottobre, assemblea promossa dal Consorzio di tutela per annunciare che il ministero delle Politiche agricole ha rivisto il piano dei controlli, dal primo gennaio cambieranno le regole di imbottigliamento. Per il balsamico di oltre 12 anni (l’invecchiamento minimo consentito per il Dop, mentre per l’Igp bastano appena 60 giorni) si passa dall’8 al 4 per cento delle giacenze, per l’extravecchio (oltre 25 anni) dal 4 all’1,5%. Se fosse così (perché perfino sui numeri ci sono interpretazioni diverse) i produttori dovrebbero dimezzare o addirittura ridurre di un terzo la produzione.
«Il ministero ci ha chiesto tre cose: trasparenza, tracciabilità e difesa della qualità. Così evitiamo intromissioni del mercato nero, disinvolte acetaie casalinghe e sovrapproduzione» taglia corto Enrico Corsini, presidente del Consorzio di tutela (riconosciuto dal ministero, 166 soci). Ancora più netto il vicepresidente Leonardo Giacobazzi: «Finalmente si passa da una giornata di nebbia a una di sole».
I «rivali» sono guidati Mario Gambigliani Zoccoli, presidente del Consorzio antiche acetaie (55 produttori, che però rappresentano il 60% del mercato). «Innanzi tutto ci hanno dato solo due mesi per adeguarci, quando ci vogliono anni per raccogliere i frutti degli investimenti – protesta Gambigliani —. Hanno creato l’antitesi tra qualità e quantità, vogliono penalizzare chi produce di più». Gambigliani Zoccoli va fiero di essere il primo produttore di aceto balsamico tradizionale di Modena (da solo ne commercia oltre 10 mila bottiglie, un ottavo del totale). «Ho fatto delle innovazioni nel rispetto del disciplinare, per questo la mia resa è maggiore. Non è mica una colpa».
Il balsamico tradizionale è un prodotto di nicchia, necessariamente artigianale. Si possono utilizzare solo i vitigni della zona, il mosto viene cotto e fermenta naturalmente. Quindi passa nella «batteria», serie di botticelle (da 3 fino a 15 e oltre) via via più piccole, di legno differente, in una sequenza di travasi e rincalzi che gli conferiscono anno dopo anno aromi e qualità. Eppure, non è ancora sufficiente per vendere questa autentica eccellenza della tradizione gastronomica italiana. Ogni partita deve essere testata e approvata da 25 assaggiatori ufficiali. «In media il 40% non supera l’esame» spiega Silvia Salaris, responsabile del Kiwa Cermet, l’organismo di certificazione. Solo a questo punto il balsamico Dop arriva sul mercato in boccette da 100 millilitri disegnate da Giorgetto Giugiaro.
«È un’arte, e ogni batteria ha una storia» rivendicano con orgoglio i coniugi Barbieri nella loro acetaia, 450 piccole botti allineate in un sottotetto che sembra un museo. Loro stanno dalla parte di chi teme le nuove regole: «Abbiamo investito tempo e risorse, così ti mettono nelle condizioni che non puoi più imbottigliare». Ma il Consorzio di tutela non sente ragioni: «Nessuno verrà penalizzato, semmai si torna alle origini».