Corriere della Sera, 29 dicembre 2015
Bill, ancora tu?
Negli auguri inviati il 25 dicembre ai suoi 5 milioni e 462 mila «follower» su Twitter, Donald Trump elogiava «lo spirito del Natale». Dissolto in neanche 24 ore. Il capolista dei candidati repubblicani ha subito ripreso il suo tocco da bulldozer attaccando in un colpo solo Hillary e Bill Clinton. Domenica, intervistato da Fox tv, Trump si è espresso in questi termini: «Hillary dice che io avrei una certa propensione al sessismo. Ma Hillary stia attenta a giocare la carta della difesa delle donne. Bill Clinton è un bersaglio fin troppo facile, perché il suo mandato presidenziale è stato pieno di problemi proprio per tutte quelle cose di cui Hillary mi accusa». E ieri mattina, con un tweet postato alle 7 e 12 minuti, il miliardario newyorkese si è spinto, come spesso gli capita, ai limiti della querela: «Se Hillary pensa che possa dare via libera al marito (o “sguinzagliarlo”), con la sua terribile storia di abusi sulle donne, e poi venire a giocare la carta delle donne con me, si sbaglia di grosso».
Lo scontro sta rapidamente sostituendo il confronto politico con la rissa verbale. A questo punto è anche difficile stabilire chi abbia assecondato questa deriva. Certo Hillary Clinton ha dato una bella spinta, definendo Trump «il miglior reclutatore dell’Isis». L’altro aveva risposto attingendo a una volgarità mutuata dall’yiddish : «Hillary è un disastro. Era favorita nelle primarie del 2008 e invece si è fatta “fregare” da Obama». E così via, con l’ex first lady che accusa di sessismo Trump e il tycoon che ribatte: da che pulpito, pensa a tuo marito.
Ora è altamente probabile che la lite non si chiuderà qui. Trump usa Twitter come fosse un diserbante. Hillary, di fatto, ha accettato questo linguaggio. Per quale motivo? I sondaggi indicano che la tumultuosa crescita dell’outsider miliardario non si ferma. Lo staff di Hillary ha adottato allora due contromisure. La prima è quella di delegittimare la candidatura Trump, rappresentandola come l’esempio di un primitivismo politico incompatibile con la società americana.
La seconda mossa è provare a batterlo dell’appeal mediatico-televisivo, richiamando in campo Bill Clinton.
Si vedrà presto, già con il primo round di primarie fissate a febbraio, quali saranno gli effetti di questa strategia. Per ora due notazioni. Anche Jeb Bush sta provando a recuperare, proponendosi come l’unico esponente della vecchia e solida cultura di governo in grado di fermare «il clown che il sabato mattina si piazza in pigiama davanti alla tv e da lì prende le sue idee di politica estera». Tuttavia Bush resta inchiodato nelle retrovie. Almeno per ora. Quanto a Bill Clinton: la sua presa sulla base democratica è ancora intatta. E ogni volta che prende in mano il microfono i cronisti sembrano risvegliarsi e le telecamere si accendono immediatamente.
Ma il suo passato presidenziale, pieno di piccoli e grandi guai, è davvero un «facile bersaglio» per gli avversari. Nei mesi scorsi Hillary aveva impostato una campagna per valorizzare le proprie competenze di ex Segretario di Stato, la razionalità di un corposo e dettagliato programma sociale, economico. Finalmente libera dall’ingombrante personalità dell’ex presidente. Trump, al netto delle trivialità, prova a convincere gli americani che non è così, inchiodando ancora una volta Hillary agli antichi errori di Bill.