Corriere della Sera, 29 dicembre 2015
Il caso dei lingotti d’oro di Banca Etruria
C’era un piccolo giallo nelle carte lasciate dal pensionato di Civitavecchia, Luigino D’Angelo: un lingotto d’oro di 100 grammi puro al 999 per mille con il timbro dalla London Good Delivery, una delle raffinerie più accreditate al mondo. Valore di mercato a ieri: 3.131 euro. Secondo le ricostruzioni delle prime ore, il «bullion» era tra le preoccupazioni che lo avrebbero portato a prendere l’irrimediabile decisione del suicidio. Sembra che D’Angelo, in alcuni messaggi lasciati, si lamentasse di non poterlo riavere. In realtà il lingottino – almeno quello – era stato recuperato a metà dello scorso settembre: risulta dagli archivi dell’istituto dato che con l’acquisto si diventa proprietari di un preciso lingotto con tanto di numero di matricola e non di uno generico. Per questo di ognuno di essi si conosce tutta la vita: il suo era stato acquistato nel dicembre del 2012 e ritirato il 18 settembre scorso. Purtroppo anche qui con una perdita di valore in conto capitale visto che tre anni fa l’oro viaggiava sui 1.300 euro all’oncia mentre da settembre ad oggi le quotazioni sono rimaste zavorrate sui mille euro. E forse era questo il suo ulteriore motivo di rammarico.
Se dunque il giallo dell’oro «imprigionato» sarebbe, secondo la ricostruzione del Corriere, risolto, va segnalato che non era comunque un caso che D’Angelo avesse il suo lingottino: la Etruria è una piccola Fort Knox con il suo carico protetto in vari caveau, tanto da meritarsi il soprannome di «Banca dell’oro». L’istituto possiede anche al 100% un banco metalli, la Oro Italia trading. Tra lingotti dei clienti per circa 3,5 tonnellate (oltre 10 mila pezzi), lingotti di proprietà della stessa banca che ha una giacenza media giornaliera sulle due tonnellate e impieghi per il distretto industriale orafo di Arezzo, altre 4 tonnellate, il conto totale è di 9 tonnellate e mezzo.
Si tratta per buona parte di oro puro che viene distribuito in vari caveau segreti, di cui almeno uno è in località Arezzo anche se non segnato sulle mappe di Google, per ovvi motivi. Il controvalore di mercato fa una certa impressione: stiamo parlando di un tesoro da 310 milioni di euro. Sebbene a distanza siderale è la più grande concentrazione di oro in Italia dopo quella di Bankitalia.
La Etruria è una delle poche banche autorizzate a vendere oro non lavorato (dunque non trasformato in ninnoli, orologi o gioielli vari) direttamente ai risparmiatori, da quando nel luglio del 2000 la legge aveva reso possibile questa operazione in Italia. Proprio per questo ai propri clienti storici, come D’Angelo, veniva offerto di sovente anche di aprire un conto soprannominato «oro vero» con la possibilità di prendere un lingotto che, teoricamente, potrebbe essere anche portato legalmente a casa e messo sotto il materasso, ma che per motivi non solo di sicurezza ma anche fiscali viene comunemente lasciato in gestione allo stesso istituto. Un business di cui la Banca Etruria era diventata (ed è ancora) leader. Il pezzo che andava di più era quello da 250 grammi, seguito dal «lingottone classico» da un chilogrammo (31 mila euro). Esiste anche un identikit: il cliente tipo dell’istituto risulta avere circa 200 mila euro depositati, di cui il 10 per cento circa in oro fisico. Poi in banca, oltre ai privati, ci sono anche clienti istituzionali che hanno depositato lingotti per milioni di euro.
In realtà gli italiani sono poco affezionati a questo tipo di investimento (i risparmiatori tedeschi ne hanno per centinaia di tonnellate) e i clienti si concentrano soprattutto tra Lazio e Toscana. Intorno alla Banca dell’oro e ai suoi caveau segreti.