Corriere della Sera, 29 dicembre 2015
Quant’è bella Milano senza auto
Il blocco delle auto che avanza s’avverte dal rumore (dei motori) che s’affievolisce. Meno clacson, meno tubi di scarico, code rarefatte ai semafori. Milano, ore 10: suona la campanella che decreta l’inizio dello stop al traffico e fa scattare il conto alla rovescia dei 10, 15 minuti di tolleranza. È il quarto d’ora dei ritardatari, che accelerano e s’affrettano su strade secondarie. Poi le palette degli agenti di Polizia locale iniziano ad alzarsi davanti agli automobilisti, che per tutto il giorno si divideranno in due categorie: chi ignora, chi recita. Ripetono, comunque, tutti la stessa giustificazione: «Ma io non sapevo... Non si può girare in macchina?». E prendono, indistintamente, la stessa multa: 164 euro. Alla fine, ore 16, si conteranno 300 sanzioni su 1.500 controlli (sull’emergenza smog leggi anche Il Fatto del giorno).
Si chiude così questo 28 dicembre milanese sul quale s’addensano infausti conteggi: è il 99esimo giorno di smog «fuorilegge» dall’inizio dell’anno (erano 163 nel 2002, 68 nel 2014 – la normativa europea ne concede al massimo 35); è il 34esimo giorno consecutivo di aria irrespirabile (la serie «nera» peggiore degli ultimi 15 anni); ed è, infine, il primo dei tre giorni di blocco del traffico indetti dal sindaco Giuliano Pisapia come risposta all’emergenza: «Tuteliamo la salute».
La battaglia «finale»
Alle 15, in corso Buenos Aires, sfilano ciclisti con mascherine iper tecnologiche. Si rincorrono i taxi e le voci dei tassisti: «Giornata benedetta». Più lavoro? «Non molto». E allora? «Sei ore senza traffico: se l’aria resta avvelenata, almeno ci disintossichiamo dallo stress». Tram, bus e metrò, che viaggiano con l’orario di un sabato invernale (più una maggiorazione del 7 per cento di corse), accolgono un numero ridotto di passeggeri in una città in letargo festivo: in parte svuotata da vacanze e scuole chiuse.
Così, in questa Milano silente di fine 2015, si percepisce anche l’epilogo di una parabola politica: l’amministrazione Pisapia ereditò la città inquinata nel 2011 e il sindaco, in quell’inverno, ebbe il coraggio di adottare la più impopolare delle misure: blocco del traffico nei giorni feriali. Passo inedito. Accadde il 9 e 10 dicembre. Poche settimane dopo (16 gennaio 2012) sarebbe scattata l’Area C, il ticket da 5 euro per entrare in centro. Provvedimenti di un’esperienza amministrativa nella sua fase ascendente. Che si chiuse con altri blocchi del traffico domenicali (fino al 2013), non dettati dall’emergenza ma da un intento educativo/persuasivo: tanto che non si chiamarono più «domeniche a piedi» (che davano un senso di privazione), ma «domeniche a spasso» (per comunicare che, oltre che buona e giusta, lasciare a casa la macchina era una cosa bella e civile).
I tre giorni di blocco attuali, fino a domani, sembrano invece la mossa di una partita in difesa; giocata finale di una battaglia che passerà in mano al prossimo sindaco. E che sarà rafforzata da un’ultima mossa: divieto di fuochi d’artificio per il prossimo Capodanno. Perché anche i «botti», pur nella contenuta abitudine milanese, infestano l’aria.
L’attesa della pioggia
Il primo stop alla circolazione di Milano (allora solo in centro) risale al 2 marzo 1981, 35 anni fa. La domanda, allora, è obbligata: i divieti servono?
Primo: l’Agenzia per la mobilità del Comune (Amat) certifica che oggi il 50 per cento delle polveri sottili a Milano sono prodotte dal traffico (dunque è lì che bisogna concentrare gli interventi); il 22 per cento dai riscaldamenti. Secondo: uno studio della stessa Amat, ha dimostrato che in 9 casi su 15, nel passato, le giornate senza auto non hanno prodotto una diminuzione dello smog. Sono però utili perché si immettono meno polveri nell’aria e perché, senza traffico, lo smog contiene meno carbonio e dunque è meno tossico.
Trentacinque anni dopo, comunque, i blocchi del traffico continuano a svuotare le strade sotto un cielo come quello di ieri: «grigio Milano», dove umidità e foschia si impastano di Pm10, Pm2,5, biossido di azoto, idrocarburi. E s’aspetta la pioggia.