Focus, 24 dicembre 2015
Come si diventa santi? Inchiesta per le stanze del Vaticano
Padre Stanley Rother era missionario tra gli indios; nel 1981 fu ucciso dagli “squadroni della morte”. Suor Franciscana de Los Dolores dedicò la sua vita agli ultimi; morì nel 1855. Due casi tra le migliaia al vaglio della Congregazione vaticana delle Cause dei santi, autorità assoluta (dopo il papa) in materia di aureole. Ma soprattutto due vite vissute in povertà e ricche solo di fede. Eppure, attorno a questi due degnissimi personaggi, pare ruotino cifre da nababbi. L’arcidiocesi di Oklahoma City, luogo natale di padre Stanley, e la congregazione delle Sorelle della Carità, fondata da suor Franciscana, avrebbero profuso per elevarli agli altari della santità circa 101mila euro per il primo e più di 480mila per la seconda. I prezzi fuori controllo legati alle cause di beatificazione e canonizzazione emergono da due recenti libri-scandalo sulle finanze d’Oltretevere firmati dai giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, entrambi rinviati a giudizio dalla magistratura della Santa Sede nell’ambito dell’inchiesta sul “Vatileaks 2”. Un fiume di denaro talora legato, questa l’accusa, a procedure poco trasparenti, se non addirittura mercantili.
GIRO DI VITE. Quale che sia il grado di trasparenza del sistema, papa Bergoglio ci sta mettendo mano. Ad allarmare il pontefice sembra sia stato il bilancio in rosso dello speciale fondo di solidarietà istituito nella Congregazione per le “cause povere”, quelle promosse da piccole comunità o da Paesi in via di sviluppo e quindi con poche risorse a disposizione. Fra le contromisure più incisive c’è la messa a punto di un nuovo tariffario che impone un limite a tutte le spese da sostenere durante l’iter di beatificazione e canonizzazione. Il “listino prezzi” è in vigore dal 2014 e dovrebbe diventare uno strumento per evitare “sperequazioni fra le varie cause”. Fra le tante voci troviamo, per esempio, 500 euro al massimo per le perizie mediche, 150 per la nomina del relatore, 4.060 per il congresso dei teologi... Ci si aspetta una svolta anche dalla riforma generale delle procedure, su cui è già al lavoro una Commissione di studio. Ma nell’attesa che il sistema cambi, vediamo come funziona adesso.
IL RECORD DI WOJTYLA. È un fatto che a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II la “fabbrica dei santi” abbia lavorato a pieno ritmo. I 1.338 beati e 482 santi voluti da Wojtyla sono a oggi un record assoluto nella storia del Vaticano. Eppure santi e beati non si fanno alla leggera, perché ne va della credibilità della Chiesa che, in un certo senso, “ci mette la faccia”. Come si scelgono dunque i candidati, e soprattutto come si procede? Ogni causa fa storia a sé, anche se in genere si tratta di un procedimento lungo e dettagliato fino alla pignoleria. E che ha i suoi costi. «In un’indagine di questo tipo i professionisti da pagare sono molti: docenti universitari, teologi, luminari della medicina, ricercatori, periti», spiega padre Romano Gambalunga, postulatore generale delle cause legate all’ordine dei Carmelitani Scalzi. Poi ci sono le spese accessorie: dalla stampa di migliaia di pagine di documenti (spesso anche da tradurre) alle trasferte e indagini in luoghi diversi e spesso remoti del pianeta, dove il candidato alla santità è nato, ha vissuto e ha lavorato. Infine i costi per la cerimonia finale in San Pietro. A conti fatti le spese, costi tipografici inclusi, ammonterebbero a 30-40mila euro.
LUNGA STRADA. Ma ci sono le incognite. Anzitutto sul ruolo-chiave del postulatore: un prete o una suora si limitano al rimborso spese, ma esistono anche studi legali ad hoc dalle parcelle non proprio simboliche. Altre due variabili riguardano lo spazio, quando l’indagine richieda spostamenti, e il tempo: la durata delle inchieste ecclesiali non è mai stata costante. La “pratica” di Sant’Antonio da Padova fu conclusa nel 1232, a neanche un anno dalla morte; quella di San Francesco d’Assisi in meno di due. Primati moderni quelli di Karol Wojtyla – morto nel 2005 e fatto santo nel 2011 – e di Madre Teresa di Calcutta, già beata dal 2003 a sei anni dalla scomparsa, e di cui è annunciata la canonizzazione il prossimo settembre. Sul fronte opposto, l’analogo iter di Giovanna d’Arco ha impiegato mezzo millennio e addirittura ottocento anni quello della santa medievale Ildegarda di Bingen, canonizzata nel 2012. Nel mezzo, una varietà di durate che può dipendere da diversi fattori. Spiega padre Gambalunga: «Per esempio, la causa di padre Gustave Dehon, fondatore della famiglia religiosa dei Dehoniani, è stata rallentata dalla necessità di vagliare il presunto antisemitismo di alcuni suoi scritti. In Francia le persecuzioni anticlericali della Rivoluzione arrestarono parecchie cause, riprese un secolo dopo. Esistono poi ragioni di opportunità: un santo deve essere elemento di unione, non di divisione. Pio IX, ritenuto nemico del Risorgimento italiano, è stato beatificato solo nel 2000».
Quanto agli aspetti tecnici, se il meccanismo per dichiarare un nuovo santo (o magari uno dei titoli intermedi: servo di Dio, venerabile, beato) è complicato, la “miccia” che avvia il tutto è più semplice e parte dalla base, vale a dire dai credenti. Tra di loro si indaga la “fama di santità” del candidato valutabile in diversi modi: devozione alla tomba, fama spirituale, testimonianze di grazie ricevute...
IL PROCESSO. Dopo 5 anni si può istruire il processo, che si articolerà in due fasi: una diocesana, svolta là dove il candidato è morto; e una romana, presso la Congregazione. Un processo vero e proprio, con tanto di tribunale, pubblico ministero, documenti, interrogatori, perizie. Scorciatoie sono previste per il martirio (se il candidato è stato ucciso “in odio alla fede” cioè per il suo credo), che una volta provato apre direttamente la strada al titolo di beato.
Per spiccare il balzo verso la santità serve poi un miracolo: anzi due, se l’esaminato è morto nel suo letto e non ha dato la vita per la fede. In genere si tratta della guarigione di un devoto: inspiegabile, istantanea, perfetta e duratura. Di qui una ulteriore inchiesta, con il concorso di consulti medici, cartelle cliniche, interrogatori di infermieri e familiari. Rara, ma possibile, la deroga della “canonizzazione equipollente” in base alla quale il papa può proclamare santo chi sia stato ritenuto tale da tempo immemorabile, anche in difetto di prodigi documentati. A questo punto il candidato è quasi in vetta: sotto di lui una montagna di carte, sunti e relazioni in copia doppia e tripla, per la gioia delle (poche) tipografie specializzate. E poi bolli, libelli di domanda, ruoli piccoli e piccolissimi: c’è persino un “portitore” per inviare i documenti a Roma. Salito l’ultimo gradino – il più delicato, perché chiama in causa l’infallibilità del papa in materia di fede – il nuovo santo è quindi iscritto nel “canone”, l’elenco ufficiale dei santi della Chiesa cattolica: un luogo dove, a imitazione del paradiso, lo spazio non manca.