Focus, 28 dicembre 2015
Breve storia scientifica del pene
Il tuatara è un rettile misterioso. Assomiglia a una lucertola, ma le due specie che abitano la Nuova Zelanda sono in realtà le uniche rappresentanti dei Rincocefali, un gruppo quasi scomparso che durante la Preistoria popolava l’intero pianeta. Sono fossili viventi, dunque, con un terzo occhio fotosensibile sulla fronte il cui scopo ci è ancora ignoto; sono animali dal comportamento affascinante, che hanno imparato a usare il guano degli uccelli per allevare gli insetti di cui si nutrono. Eppure, il motivo per cui gli scienziati sono così interessati a loro è in apparenza più triviale: i maschi di tuatara non hanno il pene. Si accoppiano, infatti, “alla maniera” degli uccelli: maschio e femmina hanno un canale chiamato cloaca e da quello maschile viene emesso lo sperma che feconderà le uova. Può sembrare una piccolezza (i Rincocefali non sono gli unici rettili privi di genitali esterni), ma è il loro status di “fossile” a rendere questa caratteristica importante. Perché aiuta a rispondere alla domanda delle domande: se una specie così primitiva è priva di pene mentre i suoi discendenti (rettili, ma anche mammiferi e uccelli) ce l’hanno, quando è nato il primo pene vero e proprio?
DATA DI NASCITA. A questa domanda ne seguono a ruota molte altre: perché ci sono rettili con due organi, uccelli con un fallo lungo come metà del loro corpo, koala con organi genitali a due teste? Possibile che il pene sia un capriccio che la natura regala solo ad alcune specie, invece che una delle strutture maggiormente responsabili del nostro successo evolutivo? Thomas Sanger, dell’Università di Chicago, ha la risposta, che è, naturalmente, un “no”: il pene non è un “capriccio” della natura. Anzi, potenzialmente tutte le specie avrebbero potuto averlo. Studiando gli embrioni del tuatara, infatti, il biologo ha scoperto che durante la loro crescita sviluppano un pene primitivo, la cui formazione viene però inibita prima della completa maturazione. «Il processo», si legge nello studio di Sanger, «è identico a quello di polli e quaglie, anch’essi privi di un fallo esterno». Il fatto che, potenzialmente, anche il tuatara avrebbe potuto avere il pene suggerisce che, nella storia dei vertebrati, questa struttura si sia sviluppata una volta sola per tutti. Successivamente solo alcuni gruppi, e per motivi contingenti, hanno “deciso” di farne a meno. Avere un pene, o non averlo, non è dettaglio da poco. Gli animali che ce l’hanno possono permettersi qualcosa di molto importante, decisivo per il successo in natura: la fecondazione interna.
PADRE SICURO. Immaginate di avere a disposizione un’enorme quantità di contante da far fruttare, e di poter scegliere se scendere in strada e distribuire mazzette di denaro ai passanti, invitandoli a farne buon uso, oppure se affidarli a una persona sola, nella quale riponete tutta la vostra fiducia. Quale soluzione preferireste? La scelta è ancora più ovvia se l’investimento non è economico, ma genetico: depositare il proprio sperma all’interno della femmina significa avere la certezza di non sprecarlo e, in molti casi, rappresenta una garanzia di paternità del cucciolo. Ecco perché, tecnicamente, il primo pene – inteso come struttura preposta alla fecondazione interna – è antichissimo: risale a 425 milioni di anni fa. L’hanno scoperto in Inghilterra nel 2012 e apparteneva a un crostaceo simile a un gamberetto, che si è meritato il nome di Colymbosathon ecplecticos, che in greco vuol dire più o meno: “nuotatore eccezionale con un pene altrettanto eccezionale”. Ancora oggi ci sono specie dotate di pene tra i molluschi (i polpi hanno un tentacolo specializzato per depositare lo sperma nella cloaca della femmina), tra i ragni (che sfruttano i pedipalpi), persino tra i pesci, che nella maggior parte dei casi preferiscono affidare gli spermatozoi al destino, spruzzandoli nell’acqua.
Per quanto strutture simili al pene dei vertebrati siano vecchie come la vita sulla Terra, però, all’inizio si trattava di soluzioni primitive, funzionali ma non abbastanza rivoluzionarie da diventare la struttura dominante tra gli invertebrati e i pesci. È con gli amnioti (rettili e uccelli, ma soprattutto mammiferi) che la situazione cambia: l’uscita dall’acqua e la necessità di far sviluppare le uova in un ambiente secco portano alla nascita dei primi peni veri e propri, e con essi del cosiddetto conflitto sessuale, una delle forze evolutive più potenti e più rapide che ci siano in natura. L’anatra muschiata, un uccello nativo del continente sudamericano, è un esempio perfetto per spiegare di cosa stiamo parlando; lunghi 80 centimetri, i maschi hanno un pene che può arrivare ai 20 centimetri in erezione, e raramente si accoppiano con femmine consenzienti. Nel 2009, Patricia Brennan dell’Università di Yale ha provato a capire le cause di questo comportamento violento, convincendo alcuni esemplari maschi di anatra muschiata ad accoppiarsi con provette di varie dimensioni. Il risultato? Le più difficili da penetrare erano quelle sagomate come la cloaca delle femmine: rendendo l’accoppiamento così complicato, la femmina si sottopone sì a un’operazione dolorosa, ma può anche scoraggiare molti esemplari, e tenere così sotto controllo il numero di uova che depone (e di piccoli che deve allevare).
I POLLI NON CE L’HANNO. Il pene, in altre parole, è la manifestazione più evidente della selezione sessuale in azione, e come tutte le altre strutture che hanno a che fare con la selezione sessuale (dalle code dei pavoni alle chele dei granchi alle corna dei cervi) può assumere le forme più stravaganti o, al contrario, scomparire del tutto: qualsiasi cosa pur di assicurarsi il successo riproduttivo. I gatti, per esempio, hanno un pene ricoperto da spine lunghe un millimetro, che servono per aggrapparsi alla vagina della femmina e stimolare in questo modo l’ovulazione; al contrario, sono le iene femmine che fanno di tutto per non farsi sfuggire il maschio, e hanno addirittura sviluppato uno pseudo-pene cavo per “acchiappare” quello del partner. D’altro canto, se è vero che le anatre hanno un pene, polli, quaglie e piccioni ne sono privi: sempre Brennan, nel 2012, ha scoperto che è l’attivazione di una proteina in fase di sviluppo a inibirne la crescita, la stessa proteina responsabile della nascita delle piume e della perdita dei denti; è possibile che l’assenza di pene in questi uccelli sia un effetto collaterale della loro evoluzione, oppure che, ancora una volta, c’entrino le femmine, che contrariamente a quanto fatto dalle anatre hanno cominciato a preferire maschi con il pene sempre più piccolo. Una scelta con la quale le femmine di gorilla concorderebbero sicuramente, considerando che i peni dei loro mariti non superano mai i 4 centimetri di lunghezza.
FACCENDA PERSONALE. Contrariamente alle stravaganti ma inutili strutture che molti animali evolvono per impressionare le femmine, per il pene non vale la regola del “più è grosso meglio è”. Un maschio di gorilla non ha bisogno di investire in una struttura riproduttiva di dimensioni ragguardevoli: è la sua forza fisica che gli garantisce l’accesso alle femmine, e il pene gli serve solo per inseminarle. La femmina a sua volta ha sviluppato un organo, la vagina, fatto apposta per accogliere facilmente lo sperma. Non c’è solo il conflitto sessuale, quindi, a contribuire all’evoluzione dei genitali, e di conseguenza dell’intera struttura sociale di un animale. La nascita del pene e la trasformazione della cloaca (cioè un canale utilizzato indifferentemente per urina, escrementi e fecondazione) in vagina (struttura dedicata all’accoppiamento) hanno lavorato in concerto per rendere l’incontro sessuale più efficiente e “personale”. Il che avrebbe favorito il successo evolutivo dei mammiferi e la nascita di comportamenti come le cure parentali e la monogamia. Capite ora perché gli scienziati sono così interessati a un rettile con tre occhi e senza pene?