il manifesto, 27 dicembre 2015
Eppure quello di Giotto non è San Francesco
La Basilica di San Francesco di Assisi, grandioso complesso cultuale che custodisce alcune delle testimonianze più alte di tutta l’arte occidentale, suscita da molto tempo attenzioni mirate da parte di studiosi di vario tipo, dagli storici dell’arte agli storici tout court. Le tracce del conflitto che, sin da quando san Francesco era ancora in vita, cominciò a dilaniare il nuovo Ordine si possono ancora ritrovare nella divisione fra le due chiese: la Superiore, destinata a ospitare i Capitoli generali dell’Ordine e i fedeli, votata quindi a un ruolo più ufficiale e più pubblico rispetto a quella Inferiore, con la sua atmosfera raccolta e adatta alla preghiera dei pellegrini. Il problema dell’appropriazione e dell’ufficializzazione di un messaggio tanto dirompente come quello del Poverello di Assisi avrebbe trovato una delle sue espressioni più alte proprio nei metri di superfici affrescate della Basilica Superiore. Molto più delle circolari papali, dei trattati vòlti a interpretare la vicenda di Francesco o delle biografie del santo, le immagini ebbero un ruolo straordinario nell’affermare e stabilire una sola, univoca immagine del santo.
Ora, in questa sua recente fatica, Chiara Frugoni affronta e dipana proprio questi problemi. Sin dal titolo, Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi (Einaudi, pp. 612, 222 illustrazioni, euro 80,00), appare chiaro lo scopo del ponderoso volume: quale fu il Francesco che si volle promuovere dalle pareti della Basilica assisiate? Il pauperista, ascetico frate che predicava la rinuncia ai beni terreni e tentava di reimpostare i rapporti tra la Chiesa di Roma e i fedeli? O un Francesco il cui messaggio era mitigato e in certo senso ‘addolcito’ rispetto al rigorismo iniziale, capace allora di essere assorbito all’interno di quella stessa Chiesa? La studiosa si era già concentrata, nel suo Francesco e l’invenzione delle stimmate (Einaudi, 1993), sulle vicende che portarono la Chiesa ad appropriarsi del messaggio, invero carico di elementi sovversivi tanto per l’autorità pontificia quanto per le sue gerarchie, dei frati dell’Ordine francescano. Un Ordine nuovo, la cui obbedienza era dovuta solo al sommo Pontefice e che usciva, quindi, dalla giurisdizione dei vescovi. Un dettaglio, questo, sul quale si scatenò una vera e propria battaglia a suon di testi e, come è facile aspettarsi, di immagini. Questo processo, lungo e accidentato, vide una prima sostanziale vittoria da parte di Roma nell’affermare, anno 1266, la Legenda Maior di san Bonaventura come l’unica biografia ufficiale del santo, con la conseguente distruzione delle altre biografie di Francesco, in primis quella di Tommaso da Celano. Proprio sulla base di Bonaventura, infatti, si sarebbe elaborato il programma iconografico delle storie del santo nella Basilica superiore, adornando in affresco le pareti della navata nel registro più basso, e quindi più vicino allo sguardo dei fedeli.
Ma Chiara Frugoni, questa volta, non si limita alle storie di san Francesco, e sottopone a un’analisi serrata e scrupolosa tutta la decorazione della chiesa, a cominciare dalla zona dove ebbero inizio i lavori, nel transetto destro, sino alle opere del giovanissimo Giotto. La studiosa rintraccia i rimandi contenuti nell’impaginato degli affreschi, indaga le ragioni delle rispondenze delle scene dipinte fra le diverse pareti della navata. La narrazione biblica procede dall’alto verso il basso: si inizia con la Creazione, si attraversano le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, infine si racconta la vicenda, trascorsa solamente cinquant’anni addietro, di san Francesco. Una storia, però, a quel punto bonificata e mitigata, perfettamente in linea con gli orientamenti e l’esegesi proposti da San Bonaventura nella sua Legenda Maior.
La struttura del libro della Frugoni, sostanzialmente bipartita, permette di avvicinare le pitture assisiati con una strumentazione non usuale. E moltissime sono le personalità che si avvicendano nelle pagine del libro – da dotti teologi come Gerardo da Borgo San Donnino o Guglielmo di Sant’Amore sino all’eretico Gioacchino da Fiore, senza trascurare papi e cardinali –, ma certo tra questi un ruolo specialissimo, opportunamente valorizzato, spetta a Girolamo d’Ascoli, già Ministro Generale dell’Ordine negli anni settanta del Duecento, poi divenuto papa come Niccolò IV, primo papa francescano ad ascendere al soglio di Pietro nel 1288. Dopo cinque capitoli, che seguono l’evolvere delle profonde controversie scatenatesi dentro e fuori l’Ordine francescano – e basti citare il bel capitolo, il terzo del volume, sulle lotte per accaparrarsi le cattedre all’Università di Parigi tra regolari, ossia quei frati che seguivano una regola, come i francescani e i domenicani, e secolari, che al contrario dei primi non afferivano a un ordine –, l’autrice conduce il lettore dentro la Basilica, e con pazienza si dedica all’analisi delle singole scene, dei loro significati, del loro senso, alla luce proprio degli strumenti di cui ha dotato il lettore nei capitoli precedenti. La necessità di ‘ammansire’ il messaggio del Poverello comportò l’attuazione da parte della Curia pontificia di una serie di contromisure che disinnescassero la forza, davvero incendiaria, del suo insegnamento. Il libro permette di calarsi all’interno di quei processi per cui le opere d’arte vengono investite di un potente messaggio ideologico e diventano foriere di valori ben precisi. Il corso del tempo e il passare dei secoli hanno edulcorato, come sempre accade, gli aspetti più scottanti di queste operazioni, ma le pagine della Frugoni, con i loro zoom storico-iconografici, permettono di recuperarle al vivo.
La studiosa avvalora poi la datazione ‘alta’ delle pitture murali, facendo rientrare l’impresa della decorazione della Basilica superiore negli ultimi anni del Duecento. Quest’idea, è bene sottolinearlo, era stata per primo sostenuta da Luciano Bellosi. Spetta a lui, infatti, rifacendosi a uno studio di Hans Belting del 1977 (che sarebbe davvero il caso di tradurre in italiano), l’aver ricondotto a questa datazione tutta la decorazione della Basilica, comprese le Storie di San Francesco, opera di Giotto. Bellosi aveva argomentato la sua intuizione con dovizia di particolari nel 1985 (tra l’altro, proprio quest’anno è stato ripubblicato il suo libro, La pecora di Giotto) e nel 1998.
Ma proprio su un problema di datazione, forse, ci sarebbe da discutere con le posizioni della Frugoni, quando, un po’ troppo nettamente, afferma che gli affreschi di Cimabue nella zona dell’abside e del transetto sarebbero opera degli anni settanta del Duecento, e non, come invece sostenuto da Bellosi, la cui posizione non è certo isolata, in anni non distanti dal papato di Niccolò IV, che regnò come pontefice dal 1288 al 1292. Al di là di certi aspetti, però, sui quali sarà necessario tornare con la dovuta ampiezza, la Frugoni riconosce – e questo è un elemento-cardine – la forte unitarietà del programma iconografico, la spinta a dotare la chiesa madre dell’Ordine di una decorazione all’altezza del prestigio del luogo, in linea con le intuizioni e le ricerche di Bellosi. Al netto di una lettura non facile ma di certo appassionante, il lettore accede a quel passato così lontano e può cogliere una serie di nuances che caratterizzavano il dibattito teologico di quegli anni attorno al problema, ad esempio, delle stigmate e di come trattare quel miracolo sbalorditivo concesso al solo san Francesco nella storia millenaria della Chiesa. Ma il dibattito assumeva anche connotati strettamente politici, in cui uno dei regnanti più potenti del mondo, il papa, vedeva fortemente minacciata la sua autorità da parte di Francesco e dei suoi seguaci. Moltissime sono le illustrazioni che accompagnano il testo e che permettono di seguire, soprattutto per la seconda parte del volume, i ragionamenti di Chiara Frugoni. Un libro che dovrebbe far riflettere, anche, su temi assai attuali eppure così malamente trattati, come il potere che le immagini rivestono nel loro uso ideologicamente orientato.