l’Espresso, 24 dicembre 2015
A febbraio Varoufakis fonda un partito, racconta lui stesso in questa intervista
L’ex ministro delle Finanze greco, l’economista Yanis Varoufakis, 54 anni, è felice per il boom di Podemos alle elezioni spagnole e spera che entrerà al governo ma senza fare concessioni agli eventuali partner di coalizione che, tutti, hanno accettato le misure di austerity messe a punto dalla Troika e dall’Eurogruppo. In questa intervista con “l’Espresso” annuncia che nascerà a febbraio il suo movimento paneuropeo per una Ue democratica e trasparente.
Professor Varoufakis, le elezioni in Spagna hanno decretato la fine del bipolarismo col successo di Podemos, partito di sinistra alleato di Syriza in Europa. Perché questo boom?
«L’opposizione del governo di Syriza al fallimentare programma della Troika è stata schiacciata la scorsa estate. Il primo ministro Tsipras è stato costretto ad accettare un nuovo prestito, che sarà una catastrofe per la Grecia, per una semplice ragione: dare al popolo spagnolo una lezione, ovvero dissuaderlo dal votare Podemos. In questo contesto, Podemos ha ottenuto un grande successo. È un piccolo ma importante passo nella giusta direzione per spezzare l’asse di chi è favorevole alla politica della Troika».
Possiamo catalogarlo come l’ennesimo successo di un partito populista?
«Podemos non è un partito populista. Il populismo si manifesta promettendo tutto a tutti. Il partito di Pablo Iglesias è nato come movimento di protesta e si sta trasformando in un soggetto che va verso una politica nuova, i cui effetti possono portare a un cambiamento vero».
Diventerà un partito come Syriza, che per diventare istituzionale ha dovuto tradire le promesse elettorali?
«Spero di no, ma prima bisogna vedere se avrà la possibilità di entrare nella inevitabile coalizione di governo. E se entrerà, come lo farà. Voglio dire: entrerà facendo concessioni ai partiti fedeli all’Eurogruppo, come il Psoe, i socialisti spagnoli?».
Il premier italiano Renzi ha detto alla Merkel che la Germania non è l’unico Paese ad alimentare l’economia Ue aggiungendo che imprese tedesche hanno approfittato della crisi greca per fare affari, per esempio con l’acquisto di 14 aeroporti. Solo parole o l’Europa del sud è pronta a formare un fronte per contrastare la politica di austerità cara ai tedeschi e agli altri Paesi del Nord?
«Spero di sbagliarmi, ma mi sembra che, se il vostro premier avesse fatto e facesse una vera opposizione alla politica di Berlino, avrebbe evitato di esercitare una pressione disumana nei confronti di Tsipras affinché si arrendesse alle richieste della Troika che, ora, tardivamente, lo stesso Renzi ritiene sgradevoli. È nel culmine della battaglia che il coraggio e le vere intenzioni si rivelano, non dopo».
In Italia quattro banche sono state salvate dal fallimento ma gli obbligazionisti hanno perso tutto. Come giudica la vicenda?
«Conosco lo stato pietoso di alcune vostre banche. Sugli obbligazionisti direi due cose. Primo: i dirigenti di banca che hanno istruito il personale per ingannare i clienti facendo comprare obbligazioni non garantite devono essere perseguiti utilizzando gli strumenti della legge italiana. Secondo: questo grave episodio rivela che, nonostante la propaganda di Bruxelles e Francoforte, non c’è una vera unione bancaria. Gli obbligazionisti di una banca privata tedesca o olandese, se si trovassero nella posizione di quelli italiani, non dovrebbero subire un “haircut” cioè un annullamento del valore delle obbligazioni. I rispettivi governi li avrebbero salvati. La probabilità di perdere i depositi bancari, o i propri investimenti obbligazionari, dipende quindi dallo stato finanziario del Paese a cui si appartiene. La mancanza di una corretta unione bancaria conta perché una moneta unica senza un’unica giurisdizione bancaria produce la fuga dei capitali da Paesi come l’Italia e la Grecia a Paesi come la Germania, perpetuando la crisi».
Cosa prevede per il futuro della Grecia e della Ue?
«Se si continua sulla falsariga delle politiche attuali, che hanno fallito in modo spettacolare, le forze centrifughe diventeranno così forti che la zona euro prima e l’Unione europea poi si frammenteranno. E non è detto che la Grecia sarà l’epicentro del terremoto. Nessuno può dire dove la rottura avrà luogo. Forse in Grecia, forse in Italia, forse da qualche altra parte. Come nel caso dell’Unione Sovietica che si sapeva non sarebbe durata ma non si sapeva dove sarebbe iniziata a crollare».
La Ue sembra andare in ordine sparso anche sul problema epocale dei profughi.
«Dobbiamo invertire la “concorrenza” tra i nostri Paesi. Ora sono in competizione per riuscire a ospitare il minor numero possibile di rifugiati. Bisognerebbe invece fare il contrario perché sono una risorsa. L’idea delle quote imposte è di per sé ripugnante. I Paesi che accoglieranno più profughi per autentico spirito di solidarietà, saranno quelli che in futuro ne beneficeranno di più».
Il rifiuto dei Paesi dell’Est di accettare un numero fisso di rifugiati è un segno di disunità europea ?
«Sì. I Paesi dell’Est hanno un proprio passato e si può anche capire l’atteggiamento dei cittadini. Il problema risiede nelle loro classi dirigenti che minano i valori fondamentali di solidarietà. Se l’Europa perde i suoi valori e non riesce ad abbracciare i rifugiati per motivi che si riducono al razzismo, specialmente confessionale, e alla mentalità del “non nel mio cortile”, l’Europa si trasformerà in una gabbia di gente scontenta».
Se la Gran Bretagna dovesse lasciare l’Unione europea che cosa accadrebbe?
«All’inizio non succederebbe granché. Come nel caso di un’eventuale Grexit, però, una volta che il processo di integrazione comincia a disfarsi, segue inevitabilmente una grave crisi esistenziale. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, non ci saranno grandi cambiamenti, se non la soddisfazione di aver sconvolto i burocrati di Bruxelles».
Come giudica i tre mesi di governo Tsipras senza di lei?
«È fondamentale ricordare che l’accordo di luglio con la Troika ha imposto una serie di vincoli che hanno reso impossibile per il governo affrontare la recessione e fare le riforme necessarie, a partire dal problema dell’oligarchia corrotta. Ci è stato imposto un incredibile livello di austerità che stringerà la Grecia in una morsa per i prossimi cinque anni. Come si può già notare, le banche saranno impossibilitate a concedere prestiti alle imprese redditizie, dato che le loro sofferenze non saranno gestite in modo efficiente da una “bad bank” pubblica. Tutto ciò farà sì che nessun investitore serio metterà i propri soldi in un’economia condannata a decrescere. Di contro non c’è stato alcun accordo per ottenere un serio aggiustamento del nostro debito. Entrando nel dettaglio le misure imposte già introdotte, e quelle che stanno per esserlo, che porteranno un’ulteriore recessione sono: la crescita dell’Iva, la riduzione delle pensioni e la domanda che le imprese paghino in anticipo, questo mese, il 100 per cento delle tasse sui profitti stimati per il 2016».
La Grecia non è ancora salva. Quali ostacoli dovrà affrontare?
«È stata spinta ancora più in profondità nel buco nero dell’ insolvenza attraverso il nuovo memorandum. L’unico grande ostacolo per la sua ripresa sono la Troika e l’Eurogruppo, che insistono sulla sostenibilità del debito, quando non lo è. Entrambi si rifiutano di creare una bad bank per occuparsi delle sofferenze delle banche, e continuano a insistere nell’imporre un ulteriore abbassamento delle entrate (attraverso aumenti fiscali e riduzioni delle pensioni e dei salari) sostenendo che ciò guarirà l’economia di un Paese sepolto dal debito, che proprio per questo avrebbe bisogno di maggiori entrate per ripagarlo».
Quali sono i suoi programmi? Tornerà in politica?
«Lancerò all’inizio di febbraio un movimento paneuropeo con un unico obiettivo, radicale: democratizzare la Ue. Una formazione che cercherà di sfruttare l’energia di coloro che sono critici nei confronti di questa gestione dell’Unione ma che non vogliono la disintegrazione della Ue. In breve, per dimostrare che c’è una terza alternativa tra quelli che vogliono tornare nel bozzolo dello stato-nazione e coloro che accettano le politiche autoritarie di queste istituzioni europee anti democratiche».