La Lettura, 27 dicembre 2015
La Spagna di Franco era un affare per Hitler
Nell’interpretazione più diffusa della guerra civile spagnola, gli interventi della Germania e dell’Italia furono anzitutto ideologici. Nell’anno in cui due democrazie europee, Francia e Spagna, stavano sperimentando governi di Fronte popolare, le due dittature «fasciste» decisero di schierarsi a fianco dei militari che stavano cercando di rovesciare il sistema politico della seconda. Più concretamente la Germania avrebbe colto l’occasione per una sorta di prova generale della guerra che fu scatenata tre anni dopo, mentre l’Italia avrebbe esteso la sua area d’influenza alle coste del Mediterraneo occidentale.
Per Hitler, in particolare, si trattò di una decisione improvvisa, presa a Bayreuth mentre risuonavano le note eroiche di un’opera di Wagner. Ma nel Paese in cui i poteri, dopo la legge del 24 marzo 1933, erano ormai concentrati nelle mani di una sola persona, qualcuno vide nella guerra la possibilità di creare un impero economico tedesco. L’autore di questo disegno era Hjalmar Schacht, riformatore della finanza tedesca durante la colossale inflazione della Repubblica di Weimar, governatore della Banca centrale, indispensabile strumento di Hitler quando aveva piegato il bilancio dello Stato alle esigenze del gigantesco riarmo dopo la rimilitarizzazione della Ruhr.
Paradossalmente Schacht, nonostante i suoi gesti di formale devozione al Führer, non era intimamente nazista. Aveva la formazione di un imperialista degli inizi del XX secolo. Il suo M ein Kampf non fu mai la creazione di uno spazio vitale tedesco all’Est, svuotato delle sue popolazioni originarie e riempito di contadini tedeschi. La sua personale battaglia era la creazione di uno spazio economico che la Germania avrebbe governato con i metodi usati dalla Gran Bretagna per lo sfruttamento dell’India e delle sue colonie. Sperò per qualche tempo che il Reich, grazie a Hitler, avrebbe riconquistato i possedimenti coloniali perduti a Versailles nel 1919. Ma quando si accorse che la Gran Bretagna, anche nei momenti in cui era più disponibile e conciliante, non lo avrebbe permesso, mise le sue energie e il suo genio economico al servizio di un disegno spagnolo.
La storia di questo tentativo è raccontata da uno storico argentino, Pierpaolo Barbieri, in un libro, L’impero ombra di Hitler, pubblicato ora da Mondadori. La Spagna, soprattutto dopo la perdita di Cuba e delle Filippine nella guerra ispano-americana del 1898, aveva un’economia zoppicante e mediocre, un parco industriale modesto e molte regioni arretrate. Ma aveva due ricchezze naturali: un tesoro sotterraneo (ferro, rocce metallifere di alta qualità, pirite, altri minerali) e un’agricoltura promettente.
La guerra civile apriva prospettive interessanti. Le formazioni militari di Franco avevano bisogno di armi e denaro. La Germania, come l’Italia, avrebbe riempito i loro arsenali e i loro forzieri, ma avrebbe preteso e ottenuto alcuni privilegi economici. Una società statale costituita a Berlino (la Rowak) avrebbe coordinato le esportazioni tedesche verso la Spagna e avrebbe aiutato le aziende del Reich a installarsi nelle zone occupate dai franchisti. Una società spagnola, ma diretta da un «proconsole» tedesco (la Hisma), avrebbe operato dal Marocco e svolto opera di intermediazione. In breve tempo i tedeschi riuscirono a monopolizzare una larga parte del commercio estero spagnolo.
I tedeschi furono meno fortunati quando cercarono di orientare la politica estera della Spagna. Nel 1938, mentre il Reich annetteva l’Austria e minacciava l’integrità della Repubblica cecoslovacca, Franco, frettolosamente, proclamava la neutralità del nascente Stato nazionalista. Più tardi, dopo l’occupazione tedesca di una larga parte dell’Europa occidentale, Hitler incontrò il caudillo a Hendaye, sulla frontiera franco-spagnola, nell’ottobre del 1940 e gli promise Gibilterra se la Spagna si fosse unita al fronte antibritannico. Ma si scontrò con un uomo sfuggente, che non intendeva pregiudicare, partecipando a una guerra europea, il risultato della guerra civile. Quando incontrò Mussolini a Firenze, qualche giorno dopo, il Führer gli disse «che avrebbe preferito farsi cavare un dente piuttosto che conversare un’altra volta con Franco».
Il dittatore spagnolo fu attratto dalla guerra contro il comunismo sovietico che Hitler aveva scatenato con l’operazione Barbarossa, ma si limitò all’invio di un corpo militare, la Divisione Azzurra, composta da 45 mila uomini. Su un altro fronte, quello del pagamento dei debiti contratti con la Germania durante la guerra civile, la Spagna fece una battaglia di contenimento e logoramento da cui uscì, grazie alla sconfitta del Terzo Reich, vincitrice.
Il sogno di Schacht, nel frattempo, era ormai fallito. Alla prospettiva di un impero ombra economico, di cui la Spagna sarebbe stata il primo satellite, Hitler aveva anteposto la creazione di un impero formale nel grande «spazio vitale» dell’Europa centro-orientale.
Il lettore si chiederà a questo punto quali vantaggi economici l’Italia di Mussolini abbia tratto dalla guerra di Spagna. A questa domanda Barbieri risponde anzitutto che il contributo italiano, sul piano militare, fu quantitativamente molto superiore a quello tedesco: 70 mila «volontari» (contro i 12 mila della Legione Condor tedesca), 600 aerei, un migliaio di pezzi d’artiglieria. A differenza della Germania, l’Italia non volle, o non poté, fare acquisizioni e sfruttare le risorse naturali spagnole. Qualche tentativo in questa direzione venne fatto da Filippo Anfuso, capo di gabinetto di Galeazzo Ciano, e da Felice Guarneri, ministro per gli Scambi e le Valute, ma con risultati modesti. In Spagna Mussolini voleva difendere il fascismo e «forgiare» il carattere militare della «stirpe» italiana. Quando vennero fatti i conti, alla fine del conflitto, fu calcolato che l’intervento italiano in Spagna era costato oltre 8 miliardi di lire, «una cifra pari, secondo le stime, al 6-8% del prodotto interno lordo dell’economia nazionale».
Dopo essersi sottratta alla Seconda guerra mondiale e al pagamento dei debiti contratti con la Germania e con l’Italia, la Spagna di Franco aveva un conto aperto con la democrazia e fu per qualche tempo sul banco degli imputati. Esclusa dalle Nazioni Unite, denunciata dall’antifascismo europeo, messa alla gogna dal «profondo disgusto» di Roosevelt per il suo regime, Madrid sembrò precipitare nel girone dei dannati. Ma il Caudillo era un uomo fortunato e la scomunica durò meno di otto anni. All’inizio degli anni Cinquanta, quando giunse alla conclusione che il comunismo fosse più minaccioso di quello che Barbieri giustamente definisce l’«anacronistico fascismo», il mondo libero cominciò a cambiare idea. Nel 1953, durante la presidenza Eisenhower gli americani, dopo un accordo con Madrid, sbarcarono in Spagna per prendere possesso della loro prima base militare.