il Giornale, 28 dicembre 2015
Contro Fabio Fazio
«Chiunque non abbia mai invidiato il vegetale non ha neppure sfiorato il dramma umano» diceva il filosofo Emil Cioran. Ma un vegetale non sente niente, è come essere morti, non vale la pena. A proposito di pene, secondo Sigmund Freud l’infelicità era dovuta all’invidia del pene. Quantomeno per le donne. Io che sono uno scrittore ancora più tragico di Cioran, non vorrei essere invitato da Fabio Fazio, non mi basterebbe: io vorrei essere Fabio Fazio. Io che sono un uomo e non soffro dell’invidia del pene, ma ho l’invidia di Fabio Fazio. Il quale anche ha un pene, credo, ma non ne sono certo, perché Fabio Fazio è troppo sensibile per averne uno, non ce lo vedo con un simbolo fallico.
Come si fa a non invidiare Fabio Fazio? Fabio Fazio è il superamento del superuomo di Nietzsche. Sorride sempre, con quel suo sorrisino felice di esistere, e non è una scena, non ci fa, è veramente felice di esistere. E ha ragione, chi non lo sarebbe al posto di Fabio Fazio? Nessun pensiero triste sfiora mai il suo bellissimo, serenissimo, snobbissimo cervello. Il pensiero di Fabio Fazio è come quello di Jovanotti della canzone Io penso positivo: «Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa/ che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa/ passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano/ arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano/ Io penso positivo perché son vivo, perché son vivo». Infatti quando Jovanotti va da Fabio Fazio è il massimo della vita, sono una sinestesia d’amorosi sensi, vedi due che vivono nel migliore dei mondi possibili, il loro.
Quando Celentano va da Fabio Fazio è il maggior filosofo di tutti i tempi. Quando Eugenio Scalfari va da Fabio Fazio è come il dio di Michelangelo sulla Cappella Sistina, e Fabio Fazio la Cappella. Essere Fabio Fazio significa essere ricco, milionario, ma anche di sinistra, buono e democratico, così buono da sembrare povero, così democratico che solo quelli di sinistra e perbene possono mettere piede in casa tua. Nessuno è mai riuscito in questa impresa, neppure Santoro, qualche stronzo di destra Santoro doveva invitarlo per stare a galla, ed è affondato lo stesso, perché Santoro non è Fabio Fazio. Una volta Fabio Fazio invitò Gianfranco Fini, il quale ci andò non capendo la trappola, e cioè che se vai da Fabio Fazio, Fabio Fazio ti ingloba, come una grossa cellula eucariotica, vieni digerito molecola per molecola ed espulso apparentemente tale e quale, invece diventi un prodotto di Fabio Fazio. Un prodotto seraficamente midcult ed establishment, mica pizza e fichi, piuttosto Saviano e Ammaniti, Vecchioni e Battiato, e alla fine Luciana Littizzetto, la quale non fa più ridere ma non importa, fa la Littizzetto.
Non è vero che Fabio Fazio è un leccaculo, come pensano alcuni. Non ha bisogno di leccare culi, sono gli altri che leccano il suo, anche quando sembra il contrario. Non si è mai visto, per esempio, un talk show dove l’ospite sia schiacciato sotto il catafalco del conduttore, ma anche questo rende l’idea, chi è lì è già genuflesso di fronte al chierichetto diventato papa della sua chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. Da un punto di vista naturalistico, Fabio Fazio, in quanto organismo (ammesso sia vivo, a volte mi viene il sospetto sia un software, una favolosa creazione virtuale dell’intellighenzia radical chic italiana), sarebbe stato studiato da Charles Darwin in quanto esempio avanzato di adattamento nella lotta dell’evoluzione. Sceglie le sue vittime con cura, famose ma già inoffensive, le invischia per bene con la sua saliva speciale e le scioglie senza che se ne accorgano, come la lampreda di mare, che uccide il pesce a cui si attacca. Cerco conferma in un sito naturalista: «Gli ospiti della lampreda non possono far altro che attendere di morire dissanguati dal loro predatore, non avendo alcuna possibilità di staccarlo». Ecco, proprio come gli ospiti di Fabio Fazio. Vai lì, ti siedi in una poltrona più bassa, sotto la sua cattedra, e lui comincia a leccarti amorevolmente, con quel sorrisino, con quel pizzettino brizzolato. Da quel momento in poi sarai uno giusto, buono, da leggere, da ascoltare, da vedere, ecologico, completamente biodegradabile.
È per questo che tutti vogliono andare da Fabio Fazio. Soprattutto gli scrittori, perché Fabio Fazio ti fa vendere i libri. Ma anche Madonna, perché ti fa vendere i dischi. Ma anche Richard Gere, perché ti fa vendere i film. E senza che nessuno fiati. Senza che nessuno ti venga a recriminare di essere andato da Fabio Fazio, come invece succede se vai da Bruno Vespa o da Barbara D’Urso. Non sarai più lo stesso di prima, ma conviene. Ci vogliono anni e anni di apprendistato al buonismo programmatico per essere accettati nel salotto buono di Fazio, e bisogna prima essere stati accettati da Repubblica, mentre per essere accettati da Repubblica basta essere accettati da Fabio Fazio. In sostanza Fabio Fazio è quello che intendeva Pasolini quando parlava dell’omologazione culturale, una macchina avanzata del capitalismo, un formidabile tritacarne di omogeneizzati, un chierichetto d’affari, uno chef che non ha bisogno di rompere le uova perché ti serve sempre la stessa frittata senza neppure bisogno di rigirartela.
Arriva un giorno in cui si rende conto che deve invitare Checco Zalone perché i film di Zalone sono stati visti da sette milioni di persone, hanno venduto, hanno avuto successo, e da quel momento in poi non sarà più comicità populista, Zalone sarà un successo di comicità popolare, Fabio Fazio compatibile. Invece Antonio Moresco era un grande scrittore italiano autore di un romanzo di oltre mille pagine, terribile, tragico, rivoluzionario, poi un giorno scrive un librino che sembra una favola per bambini, La lucina, Fabio Fazio lo punta con i suoi occhietti, lo invita nella sua tana luminosa, e da allora Moresco è finito, è diventato una specie di noioso San Francesco autore de La lucina, uno Scalfari sfigato.
Che tempo che fa? Sempre lo stesso, da Fabio Fazio, né caldo né freddo, temperatura perfetta, come al Bioparco di Roma nell’habitat per le farfalle. Non c’è nessuna differenza tra Massimo Gramellini e Giacomo Leopardi, tranne quella che il primo può andarci, il secondo no, non solo perché è morto da due secoli, se fosse stato vivo l’avrebbe ucciso Fabio Fazio invitandolo. Cosa avrebbe chiesto Fabio Fazio a Giacomo Leopardi? Gli avrebbe chiesto: perché sei triste, Giacomo? Dicci. Parlaci dell’infinito, non è bello l’infinito? E questo Zibaldone? È carino? Giacomo avrebbe detto «è funesto a chi nasce il dì natale» e Fabio Fazio lo avrebbe guardato annuendo con il sorrisino felice di esistere e Leopardi sarebbe andato a ruba come un autore di Fabio Fazio e non ne sarebbe rimasto più niente, solo una gobba profumata di saliva al gelsomino lassù, sull’ermo colle.