la Repubblica, 28 dicembre 2015
Jane Goodall e i suoi scimpanzé: «Quando li guardo sento che mi immergo negli occhi di qualcuno che ha molto da insegnarmi»
Jane Goodall, oggi, è molto lontana dal suo leggendario presidio tanzaniano nel parco di Gombe e dai suoi amati scimpanzé. La primatologa più famosa del mondo si sottomette con francescana pazienza al fitto calendario di interviste che le hanno organizzato. Ha 81 anni (è nata a Londra nel 1934), ma non li dimostra di sicuro, mentre dimostra, invece, la sua proverbiale resistenza.
Jane Goodall è minuta, apparentemente fragile e sembra stranamente fuori dal tempo. Irradia calma, serenità, pacatezza. È impossibile stare davanti a lei senza pensare alle lunghissime ore che ha trascorso osservando pazientemente le scimmie.
È di poco tempo fa la vicenda di Adamo ed Eva, scimpanzé fuggiti da uno zoo a Maiorca che, dopo un implacabile inseguimento della polizia, hanno trovato una tragica fine: lei abbattuta a fucilate, lui annegato nella fuga.
«Conosco questo caso, è molto triste. Queste cose non dovrebbero accadere, ci sono altri metodi. Non si dovrebbe arrivare a tali estremi».
Che cosa vede in fondo agli occhi di uno scimpanzé?
«È come se guardassi negli occhi di un essere molto vicino. Vedo una personalità, una mente. Sento che mi immergo negli occhi di qualcuno che ha molto da insegnarmi».
Chi sono? Una sorta di nostri fratelli minori?
«Biologicamente siamo molto vicini. Nell’anatomia, nel sangue; soffrono le stesse malattie, la poliomielite, l’Aids, l’epatite; il loro cervello è molto simile. Ci separa solo una questione di grado».
Ma c’è una barriera insormontabile, dice lei, e lo dice con grande dispiacere, credo.
«Sono una specie diversa. Ogni creatura ha le proprie caratteristiche. Loro, anche se in continua evoluzione, lo fanno nella loro direzione; non sono umani, non lo saranno mai. Credere altrimenti è un errore. Non ho mai perso di vista questa linea di demarcazione per quanto confusa possa essere».
Eppure le loro vite, i loro rapporti, i loro litigi, così come lei li ha raccolti nei suoi libri, dopo tante ore di osservazione, ci sembrano così vicini... Sembrano i personaggi di un romanzo.
«Lo sono! Le storie delle famiglie degli scimpanzé sono molto simili a quelle della gente. Madri buone e piene di abnegazione, giovani dissolute, maschi tanto stupidi».
Le femmine sottomesse ai maschi violenti, fanno pensare che machismo e violenza di genere abbiano una radice biologica.
«Lo sospetto. È anche vero che se l’esistenza è molto difficile per alcune scimpanzé, non lo è per altre. Le femmine, in generale, sembrano davvero godere del sesso. C’è molto sesso buono e tranquillo nella loro vita».
Tuttavia, quella degli scimpanzé è una società molto violenta. Sono mai stati aggressivi con lei?
«Sì, sono stato trascinata, calpestata, mi hanno lanciato delle pietre che potevano uccidermi. Ma mi hanno anche amato molto. In realtà, credo che, anche se il loro comportamento è a volte brutale, non siano capaci come noi di atti di crudeltà deliberata».
Le hanno lasciato delle cicatrici?
«Uno scimpanzé mi strappò la falange di un pollice mentre cercavo di rassicurarlo. Lo avevano messo in una gabbia molto piccola, era orribile, un posto spaventoso. Ho visitato molti posti simili».
Gli serba rancore?
«No, no. Non è stata colpa sua».
Se gli concediamo dei diritti – si è persino parlato di riconoscergli la proprietà delle loro foreste -, forse si dovrebbe anche chiedergli delle responsabilità.
«Io non lotto per dargli dei diritti come i nostri, lotto perché noi esseri umani siamo coscienti delle nostre responsabilità nei loro confronti e nei confronti della natura in generale. Abbiamo compiuto degli abusi contro gli scimpanzé, e contro tante altre specie. Nessuno sa come si evolveranno gli scimpanzé, ma la questione principale, oggi, è se sopravviveranno alla rapida distruzione del loro habitat che stiamo provocando, così come di tutta la natura».
Cambiando argomento, crede che gli scimpanzé abbiano un senso della trascendenza? Mostrano comportamenti per così dire... prereligiosi?
«Sappiamo così poco, c’è tanto da scoprire! Ciò che è chiaro è che hanno una mente molto complessa e sono capaci di emozioni e di qualità raffinate: gioia, tristezza, felicità, amore, compassione, sacrificio di sé. E l’esecuzione delle danze della pioggia, come noi le chiamiamo, è un evento davvero unico».
Provano senso di colpa?
«C’è il caso di Vicky, una scimpanzé allevata in cattività. Le davano un premio ogni volta che usava il gabinetto. Una volta prese il premio mentre andava in bagno, ma prima di arrivare si sporcò, e allora lo restituì tutta mortificata».
Gli scimpanzé fanno molta politica.
«Sì, alleanze, alcune molto complesse, per prendere il potere. Soprattutto i maschi».
È un tipo di politica spesso molto sporco.
«Sì, è vero. Sono abituali i tradimenti nell’appoggio di questo o quel leader, e la rottura di patti e alleanze».
Lei è stata la prima ad osservare che gli scimpanzé utilizzano degli strumenti. Conoscono anche l’arte o il senso estetico?
«In libertà, l’arte no; in cattività è noto che dipingono. A modo loro».
Si identifica con i sentimenti di Karen Blixen in “La mia Africa”?
«La sua fu un’esperienza che precedette di molto la mia, in altri tempi, semicoloniali».
L’interesse del pubblico, le conferenze di fronte a grandi auditori, le copertine delle riviste, gli incontri con personalità come Obama, i premi... Essere una celebrità l’ha resa vanitosa?
«No no! So chi sono, rimango fedele a quello che sono sempre stata. Questa parte della mia vita... ho dovuto imparare a conciliarla con quella più personale».
Non è stanca di tutto questo?
«Mi considero una persona felice. Sono stata molto fortunata in due cose: una buona salute, che è qualcosa che non si apprezza mai abbastanza, e la capacità di comunicare. Sono due doni che la vita mi ha dato e di cui le sono molto grata».