Il Sole 24 Ore, 28 dicembre 2015
Dal 1° gennaio entra in vigore il bail-in. Tutte le novità economiche del 2016
Una delle poche certezze, che ha già conosciuto le luci della ribalta, sarà l’entrata in vigore dal 1° gennaio delle nuove regole sul «bail in», il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie che sposta il carico dei salvataggi dalle casse dello Stato ai privati. Prima toccherà agli azionisti, poi agli obbligazionisti e ai titolari di depositi al di sopra dei 100mila euro. Ma per un nuovo tassello dell’Unione bancaria che si sistema – il secondo dopo la vigilanza unica sotto l’egida della Bce entrata in vigore nel novembre 2014 – che lo si guardi da Bruxelles o dalle capitali, l’anno che sta per cominciare si preannuncia ricco di incognite e di sfide. L’Unione europea, stretta tra l’ondata di populismo, l’instabilità politica, l’emergenza immigrati e la minaccia del terrorismo, sarà chiamata a rispondere ad almeno sei grandi domande e per certi versi a ripensare alla propria identità, messa in discussione da Londra con lo spettro della Brexit, l’uscita dal club. Mentre sullo sfondo l’economia sta cominciando a rialzare la testa la posta in gioco non è più solo economica.
A curare la regìa dei primi sei mesi sarà l’Olanda che prenderà il testimone del Lussemburgo come presidente di turno della Ue, per poi passarlo alla Slovacchia da luglio a dicembre. Sin da subito la strada sarà in salita. Per restare in ambito finanziario il tema caldo sarà il terzo pilastro dell’Unione bancaria, lo schema di garanzia unico sui depositi, più volte sollecitato dalla Bce e sostenuto dall’Italia. La proposta della Commissione Ue, presentata lo scorso novembre, si è però già scontrata con l’opposizione della Germania, che chiede il rinvio al 2017.
I mesi di febbraio e marzo rappresenteranno uno snodo decisivo. Nel primo gli occhi saranno puntati sull’emergenza immigrazione e sul negoziato con Londra, due questioni lasciate in sospeso dal vertice di dicembre. Sul primo fronte uno dei nodi da sciogliere sarà il funzionamento dei cosiddetti «hotspot», strutture allestite per identificare rapidamente, registrare e raccogliere le impronte digitali dei migranti, per sostenere i paesi più esposti ai nuovi arrivi, come Italia, Grecia e Ungheria. Di pari passo proseguirà, non senza ostacoli, il dibattito sul diritto d’asilo. La Commissione Ue ha promesso per giugno una proposta di revisione delle regole di Dublino del 1990, giudicate ormai poco adatte a gestire la nuova emergenza. L’obiettivo di Bruxelles è creare un meccanismo permanente con quote per la ripartizione dei richiedenti asilo. Su questo fronte, però, l’Europa appare spaccata. Se Italia, Francia e Germania premono da mesi per una soluzione condivisa, i paesi dell’Est ( Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) frenano. I leader europei si sono poi dati tempo fino a giugno per trovare un accordo sulla guardia costiera comune per blindare i confini dell’Europa senza minare uno dei suoi fondamenti, come l’accordo di Schengen. Tra i Ventotto, però, non tutti sono disposti a cedere sovranità in un campo di solito di esclusiva competenza nazionale.
Le spese per l’emergenza migranti sono una delle voci, insieme agli investimenti e le riforme, che l’Italia punta a dedurre dal calcolo del deficit. Il verdetto dell’esecutivo Ue è stato rinviato a marzo. L’Italia vuole ottenere il via libera a tutte le clausole di flessibilità – per un totale di 16 miliardi di euro, pari all’1% del Pil – alla luce della Comunicazione di Bruxelles dello scorso gennaio. «Sulla carta – spiega Carlo Milani, economista del Cer, Centro Europa Ricerche – le premesse per un via libera ci sono. Ma al di là degli aspetti tecnici peseranno anche quelli politici. La clausola che potrebbe presentare meno problemi è quella legata alle riforme, mentre le altre due sono più discrezionali. Mi aspetto infatti un via libera parziale».
Non solo conti pubblici. Gli attentati di Parigi hanno portato alla luce nuove priorità, come la sicurezza e le misure antiterrorismo, rendendo ancora più urgente la nuova strategia che l’alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, sta preparando per giugno. La creazione di un’unica agenzia di intelligence Ue, caldeggiata dal Commissario agli Affari Interni Dimitris Avramopoulos, sembra ancora un miraggio, mentre da alcune capitali si chiede la costituzione di un esercito unico europeo, dopo la moneta unica. Un sogno rimasto nel cassetto sin dalla Guerra fredda, ma che ancora una volta si scontra con le prerogative nazionali.
È però all’interno dei confini europei che si gioca la partita più difficile, quella con Londra. Per scongiurare il referendum sul “no” alla Ue che il premier Cameron intende indire a metà 2016, Bruxelles ha già avviato una partita a poker per evitare la Brexit. Per restare la Gran Bretagna ha chiesto quattro condizioni: un’Unione a due velocità, un peso politico maggiore per i Paesi che non adottano l’euro, una maggiore sussidiarietà e l’accesso graduale al welfare inglese per i non britannici. Dopo mesi di consultazioni incrociate tra le capitali, il presidente della Ue Donald Tusk alzerà il velo a febbraio sulla controproposta di Bruxelles. Bisognerà però vedere se Londra sarà soddisfatta.
«Saranno comunque tutte sfide – conclude Milani – che metteranno a dura prova la Ue. È improbabile che si arrivi a una vera svolta, ma piuttosto che vengano compiuti piccoli passi». Una sorta di prova generale in attesa del 2017, quando le elezioni in Francia e Germania designeranno i leader del futuro.