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 2015  dicembre 28 Lunedì calendario

Il vento che non c’è e i trasporti pubblici snobbati: ecco perché in città non si respira più

I grandi responsabili della trappola smog sono due assenti: il vento e il trasporto pubblico. Il primo è stato inghiottito dal cambiamento climatico che ce lo restituisce raramente, spesso in forma violenta, qualche volta come tromba d’aria. Il secondo è stato snobbato come arcaico e poco seducente privando gli italiani di un’alternativa di trasporto dignitosa e rinchiudendoli in una nuvola di polveri sottili che corrodono i polmoni. Dietro il dramma di questi giorni ci sono questi due fattori che si combinano formando una micidiale tenaglia. Ma come è stato possibile ignorare per tanti anni la legge a tutela della salute pubblica? E come mai i venti sono mutati in modo così radicale? Il direttore di Legambiente Stefano Ciafani e Riccardo Valentini, membro dell’Ipcc, la task force degli scienziati Onu che studiano il clima, ci aiutano a ricostruire la ragnatela delle dimenticanze colpose.
PERCHÉ È SPARITO IL VENTO?
È cambiata la circolazione dei venti di alta quota che danno un contributo determinante al clima. L’allargamento dell’area tropicale li ha spostati verso Nord, creando in Italia una situazione di alta pressione che ormai è stabile da un tempo anomalo, eccezionalmente lungo. Le alluvioni in Gran Bretagna, nell’area ancora esclusa dalla tropicalizzazione che ha investito il Mediterraneo influenzando gli anticicloni, costituiscono l’altra faccia dello stesso fenomeno.
UNA NOVITÀ IMPREVISTA?
Al contrario. Rientra nel quadro di evoluzione climatica disegnato da più di 20 anni dall’Ipcc. Ma per fermare il caos climatico servono misure drastiche di diminuzione dell’uso dei combustibili fossili. Solo con l’approvazione dell’accordo di Parigi sul clima, si sono create le premesse politiche che potrebbero portare al cambiamento delle politiche energetiche in direzione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza.
QUANTO TEMPO ABBIAMO AVUTO PER METTERCI IN REGOLA CON I LIMITI VIOLATI DA MOLTE CITTÀ?
Un tempo molto lungo. La direttiva europea che vieta di superare per più di 35 giorni all’anno il tetto di 50 microgrammi di polveri sottili per metro cubo è del 2002. In Italia è stata recepita con un decreto entrato in vigore il primo gennaio 2005. Ma è stato un atto formale: si è fissato un obiettivo e si è continuato a spendere in direzione opposta.
GLI ESEMPI DI TRASPORTO INNOVATIVO MESSI IN CAMPO DA ALCUNE CITTÀ NON SONO SERVITI?
Hanno ottenuto buoni risultati a livello locale, ma non sono riusciti a cambiare verso alla spesa pubblica. A Milano la decisione di introdurre l’ingresso a pagamento in centro ha ridotto le emissioni nocive: meno 38% di polveri sottili nel 2014 rispetto al 2010, meno 59% di black carbon. Non è bastato. Come non sono bastate le zone con il limite a 30 km all’ora a Torino e i rigorosi standard energetici imposti a Bolzano sulle nuove costruzioni per abbattere il consumo energetico.
QUANTO ABBIAMO INVESTITO IN QUESTI ANNI PER PULIRE L’ARIA DELLE CITTÀ?
Molto poco. Nel periodo 2012-2014 la legge obiettivo ha destinato il 66% dei finanziamenti a strade e autostrade, il 15% alle metropolitane, il 12% alle ferrovie, il 7% all’alta velocità. Del programma «mille treni per i pendolari», lanciato dal governo Prodi nel 2006, si sono perse le tracce: una buona quota dei 3 milioni di pendolari continua a essere costretta a usare la macchina.
SI POTREBBE INVERTIRE LA ROTTA?
Certo. Basterebbe invertire gli investimenti. In Italia tre quarti del trasporto merci avviene sulla gomma, imputato numero uno per lo smog: bisognerebbe riallinearsi con l’Europa scendendo al 50%. Ma da un decennio i governi hanno distribuito circa 400 milioni di euro l’anno (250 nell’ultima legge di stabilità) in sgravi fiscali, riduzione del costo del carburante e minori pedaggi a vantaggio dei camion. Con i 4 miliardi di euro di fondi pubblici girati al trasporto su gomma si sarebbe potuto costruire una rete di tram in tutte le principali città: 200 chilometri.
COSA RISCHIA L’ITALIA?
L’Italia è stata messa in mora dall’Ue nel 2014 per aver disatteso le direttive sulla qualità dell’aria. Se non correggiamo le politiche di trasporto e di edilizia spenderemo sempre di più in costi sanitari aggiuntivi e in multe. Pagheremo di più per respirare peggio.