Corriere della Sera, 28 dicembre 2015
Il pallone spiegato da Arrigo Sacchi
«Quando ero allenatore della Nazionale andavo a vedere le partite della serie C, c’è sempre da imparare. Confrontarsi significa non avere complessi, essere certi di ciò che si sta facendo. Chi evita il confronto è un insicuro». Oggi Arrigo Sacchi la Nazionale non la allena più, però a 69 anni sui campi di provincia spende ancora tante domeniche. Ieri era al Manuzzi per Cesena-Avellino, di serie B. «Drago e Tesser, due buoni allenatori, con idee. Faticano però a tenere le squadre compatte, il calcio sta tutto lì, nel tenere gli uomini uniti. C’è di buono che provano a giocare».
Provano a giocare, però allora perché il calcio inglese oggi è più bello?
«In Italia stiamo cambiando. Prima era tutto basato su prudenza e difensivismo, un tappo per i giovani. Quello di oggi è il campionato più interessante degli ultimi 20-30-40 anni e non perché in tante lottano per lo scudetto. Il Sassuolo va a San Siro e fa la partita, impone il suo gioco e non cerca il risultato in contropiede. Le squadre hanno messo al centro il gioco, hanno capito che è l’unico modo per valorizzare i ragazzi. Le idee hanno sovrastato il potenziale economico. Ci siamo liberati dell’ortodossia italiana. C’era una dittatura della tattica che opprimeva la strategia. Molti pensavano al calcio come uno sport individuale, allenavano il singolo per arrivare alla squadra. Ora è diverso».
Parla di squadra e viene in mente l’Italia di Conte, che Europeo farà?
«Partiamo con l’handicap. In serie A abbiamo formazioni straniere per nove undicesimi. Conte è un allenatore con grande cultura calcistica, ha una capacità che io definisco magia: attraverso il gioco riesce a migliorare i singoli. Spero molto in lui. A livello internazionale vince il collettivo e chi è più padrone del pallone».
Chi sono le sue favorite per la vittoria?
«Le Nazionali sono meno prevedibili dei club. Il Belgio è forte, ma non ha storia. La Germania sempre protagonista. Noi siamo figli del teatro: ci piace essere eroi. Conte sta facendo una squadra seria. Sai che darà tutto e cercherà di farlo attraverso il collettivo. Gli italiani non lo fanno mai, però le poche volte che ci mettiamo insieme otteniamo grandi risultati. Nel ’45 la guerra aveva distrutto il Paese, vent’anni dopo eravamo tra le prime cinque potenze mondiali. Un lavoro di squadra molto ben riuscito».
L’Inghilterra ha preso un po’ l’andazzo della serie A, dopo l’esonero di Mourinho ora rischia pure Van Gaal, che è successo?
«Quando arrivai al Milan Galliani mi disse: “Guarda che qui puoi spendere”. Ma io risposi: “Più spendo e meno pazienza avrete con me”. Vale lo stesso discorso per Van Gaal, ha speso tanto e loro hanno avuto anche molta pazienza. Gli inglesi però hanno la cultura della squadra e grazie a questa hanno conquistato e governato il mondo pur essendo solo 60 milioni».
Il Milan fatica, qual è il suo male?
«Hanno messo la spesa al centro, ma vengono prima le idee. Il Milan è stato grande quando la società era unita, diciamo che oggi è meno coesa di quando c’ero io. Torniamo al valore della squadra, in tutti gli ambiti».
Il Napoli e Sarri sono un bell’esempio del nuovo calcio all’italiana. Arrivano in fondo?
«Pochi allenatori hanno la sensibilità di dare un’armonia e un’identità, Sarri è tra questi. Già a Empoli proponeva un gioco variegato, mostrando una conoscenza approfondita, facendo muovere la squadra in modo armonioso e compatto. Senza palla erano bellissimi da vedere, con la palla riusciva a nascondere i limiti tecnici dei suoi. Ma il Napoli da quanto non vince uno scudetto? Inter e Juventus insieme ne hanno 50, Napoli e Roma 5. L’abitudine a vincere conta».
Giampaolo sta facendo meglio di lui. Sfrutta il lavoro di Sarri o è più bravo?
«Due anni fa lo volevo all’Under 21. È un ragazzo vero, un po’ complicato, con una sensibilità tipica dei direttori d’orchestra. L’Aida è un’opera uguale per tutti, ma se la dirige Muti è diversa. La differenza la fa la capacità di correzione. Il calcio mostrato dall’Empoli a Bologna va fatto vedere a tutti i ragazzini. Reparti incollati, perfetti. Se giochi in 30 metri, a organetto, hai grande facilità tecnica. Il passaggio è più facile, recuperare palla pure. I Romani conquistarono la Gallia con un sistema nuovo: stando compatti sconfissero il nemico più numeroso. Nel calcio d’oggi idee e organizzazione valgono più dei soldi. Maccarone ha fatto un gol meno di Bacca. La Fiorentina ha un gioco bellissimo e recuperato Rodriguez e Borja Valero. Le squadre non si fanno con i solisti. Se collezioni figurine il rischio è che alla fine te ne manchi sempre qualcuna per completare l’album».
Chi se la gioca per lo scudetto?
«Juve e Inter, più delle altre. La Juve è tornata prepotente. È a metà strada e sta virando sul gioco. Ha una società straordinaria, ha la storia e Allegri è migliorato molto. La squadra ha un’ottima organizzazione e tutti tirano dalla stessa parte e chi non lo fa va fuori. Mancini vuole arrivare a un gioco che giustifichi il risultato, perché è un tecnico intelligente e preparato. Il nostro Paese disconosce merito e bellezza, ma Dostoevskij diceva: “La bellezza salverà il mondo”. Abbiamo fatto troppo poco per far capire quanto è inutile una vittoria senza merito. Il merito è un deterrente alle irregolarità».
Al pubblico però interessa solo vincere.
«Magari una volta, oggi è cambiato. Che la Roma passi il turno in Champions e venga fischiata non è da Italia, ma è da nuova Italia. La gente giudica il merito. Non basta più solo vincere, magari con l’inganno e la furbizia. Alla lunga la furbizia non paga e infatti chi è intelligente cerca dirigenti e allenatori che costruiscano soprattutto il futuro».
Come il Bayern con Ancelotti?
«Carlo è un fenomeno. Ci sono tre allenatori sopra tutti. Guardiola è il più geniale. Dà armonia e un’impronta. Se vedessi giocare una squadra senza sapere che è lui ad allenarla saprei riconoscere la sua mano. Poi Mourinho, un condottiero straordinario. Ma Ancelotti ha la capacità di ottenere sempre il massimo. Gli dai 11 portieri e lui te ne cava fuori una squadra. A Madrid con 11 solisti ha vinto la Champions, non succedeva da 11 anni. Chiedetevi perché».