La Stampa, 28 dicembre 2015
I segnali che anche l’Italia è a rischio attentati
C’è un messaggio di propaganda che inquieta le nostre forze di sicurezza. È stato spedito sul web dall’«Ufficio media Tripoli ovest dello Stato islamico». Il titolo è un programma: «La Libia è la porta aperta verso Roma».
Per noi, il processo di pacificazione avviato con l’accordo sottoscritto a Skhirat il 17 dicembre scorso e ratificato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, è importante anche per questo, per evitare una nuova Somalia a quattrocento chilometri dalle nostre coste. Secondo fonti di intelligence moltissimi tunisini, affiliati all’Isis, «si addestrano in appositi campi in Libia».
Ma quello che preoccupa è che a ottobre a Lampedusa è sbarcato un tunisino, poi espulso, «radicalizzato e potenziale terrorista». Insomma, bisogna fare molta attenzione anche ai barconi carichi di migranti che arrivano in Italia.
Lupi solitari
Scrivono gli analisti: «I rischi maggiori per la sicurezza sono connessi ad azioni condotte da terroristi autoctoni ricettori degli appelli lanciati dall’apparto propagandistico del Califfato, o da foreign fighters europei reduci dal conflitto siro-iracheno». Come l’attacco di gennaio al Charlie-Hebdo di Parigi dimostra, «i loro attacchi sono connotati da imprevedibilità e da una elevata potenzialità offensiva che li rendono drammaticamente letali».
È vero che dal punto di vista delle organizzazioni jihadiste il riferimento alla conquista di Roma ha sempre assunto un significato ideologico, simbolico: è l’Islam che prevale sul cristianesimo. Ma questi richiami comunque hanno l’obiettivo di mobilitare, di galvanizzare la propria «opinione pubblica», indirizzando appunto «lupi solitari» o gruppi di reclute jihadiste a organizzare attacchi terroristici in tutta Europa, anche in Italia, centro della cristianità, ma anche Paese schierato in prima linea sul fronte antiterrorismo.
Il messaggio web che arriva da Tripoli non è il primo proclama di guerra che ha come riferimento l’Italia, si somma agli altri e porta l’Antiterrorismo a non abbassare la guardia.
Un islamista a Lampedusa
Il Giubileo della Misericordia dura un anno, finora sta andando tutto bene ma siamo solo agli inizi: «Per la forte valenza religiosa e le sue dimensioni mondiali – annotano gli analisti – l’evento potrebbe, oggi ancora di più, rappresentare agli occhi di soggetti/ambienti del radicalismo islamico l’occasione per amplificare l’impatto mediatico di eventuali attacchi terroristici tentati o compiuti contro la persona del Santo Padre, contro interessi riconducibili allo Stato del Vaticano o ad altri obiettivi di rilevo politico/religioso presenti sul territorio nazionale».
Anche obiettivi italiani all’estero sono a rischio di attacchi terroristici. L’11 luglio scorso, al Cairo, un’autobomba imbottita di 250 kg di tritolo, è esplosa davanti al Consolato italiano. Il bilancio è di un egiziano morto e quattro feriti. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico e dalla sigla «Al Dawla Al Islamiyya-Misr». Secondo gli analisti, l’attacco al nostro Consolato va interpretato come un «avvertimento» contro l’Italia che sostiene il governo egiziano.
E a Tripoli, Libia, il 31 agosto è esplosa una autobomba nel parcheggio della «Mellitah Oil and Gas», una joint-venture Eni e compagnia petrolifera nazionale libica Noc. Il giorno dopo l’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico: «È una operazione jihadista in uno dei covi degli apostati nel quartiere Al-Dhahra».
Il 28 settembre, un italiano è stato ucciso a Dacca, Bangladesh. Cesare Tavella, cooperante. L’Isis ha rivendicato l’omicidio. Un mese dopo sono stati arrestate quattro persone accusate dell’omicidio di Tavella, e non sarebbero collegate all’Isis.