Corriere della Sera, 28 dicembre 2015
Ultime dal fronte: l’Isis è in fuga da Ramadi
Ramadi, città di rovine, diventa il simbolo del riscatto del governo iracheno contro i tagliagole di Isis. Ieri pomeriggio le truppe scelte di Bagdad sono infine riuscite a far sventolare le loro bandiere sui tetti degli edifici governativi nel cuore del capoluogo della provincia sunnita di Al Anbar.
Spariscono i drappi neri del Califfato, la guerriglia jihadista si arrocca in piccole isole di resistenza. «Hanno perso il loro quartier generale nel compound più importante, ciò significa che hanno perduto la sfida per la città. Ora si tratta di andare a scovarli nei loro ultimi nidi. Ma la battaglia è vinta», sostiene il portavoce militare iracheno, Sabah al Numani.
È tuttavia una vittoria costata sette mesi di guerra, sostenuta da una coalizione particolarmente anomala, comprendente in primo luogo gli americani, la loro aviazione, gli altri Paesi alleati nella Nato, la Giordania, oltre all’Iran e alle milizie sciite irachene. Una vittoria che ha visto un fronte comprendente circa 30.000 uomini sostenuti dal meglio della tecnologia bellica contro circa un migliaio di guerriglieri jihadisti pronti a tutto, il fior fiore dei volontari dell’Isis provenienti dai ranghi dell’ex esercito di Saddam Hussein, oltre a ceceni, algerini, tunisini e libici.
«È stato difficile batterli a causa dei loro continui attacchi kamikaze e alle migliaia di mine e trappole esplosive che seminano ovunque tra strade, edifici e macerie», spiega il generale Ismail al Mahlawi, massimo responsabile per le operazioni belliche in Al Anbar. Ancora non è stato reso noto il numero delle vittime. Nei giorni scorsi era stato ipotizzato che la grande maggioranza degli uomini del Califfato avesse perso la vita, assieme a centinaia di soldati iracheni e a un numero imprecisato di civili.
Per comprendere il significato di questo successo contro il sedicente Stato Islamico occorre però fare un passo indietro. Ramadi con il suo mezzo milione di abitanti, oggi in grande maggioranza profughi nelle zone limitrofe, è infatti la capitale dell’anima sunnita irachena. Qui nel 2003 gli americani evitarono di fare entrare le loro truppe preferendo trattare direttamente la resa dei capi tribù locali. E da qui, assieme a Falluja cinquanta chilometri più a est e ai quartieri occidentali di Bag-dad (a 130 km), si organizzò a partire dal 2004-5 la rivolta contro gli occupanti e soprattutto gli esponenti sciiti dei nuovi governi iracheni. Da allora gli estremisti, prima qaedisti poi legati all’Isis, vi trovano una popolazione largamente simpatetica. Non a caso ieri la notizia della presa di Ramadi è stata festeggiata specialmente nelle regioni sciite a sud della capitale. Il 14 maggio scorso l’Isis riuscì dunque a occuparla scacciando o uccidendo chiunque collaborasse con il governo centrale. Negli ultimi tempi le avanzate di quest’ultimo sono state facilitate dalla collaborazione di alcune tribù sunnite locali grazie al fatto che Bagdad ha evitato di utilizzare le milizie sciite (come invece fu nel caso della presa di Tikrit in aprile), puntando piuttosto sull’esercito regolare.