il Fatto Quotidiano, 27 dicembre 2015
Le conseguenze del salvabanche
Il brutto di questa storia è che, comunque la si giri, è un pasticcio dalle conseguenze difficilmente calcolabili. Dietro la strana guerra tra Roma e Bruxelles sul salvataggio delle quattro banche malate (Marche, Etruria, Ferrara e Chieti) – combattuta a colpi di retroscena, veline copiaincollate da giornali con forte senso delle istituzioni e rivelazione di lettere segrete – si nasconde la tragica verità di una cifra: 50 miliardi di euro. Vale tanto la bomba innescata alla base del sistema bancario italiano dall’operazione varata da governo e Banca d’Italia il 22 novembre scorso.
“Sappiamo che svalutare 8,5 miliardi di sofferenze al 17% del loro valore è stata una scelta di Bruxelles”, ha detto Roberto Bertola non appena ricevuta la nomina ad amministratore delegato della Nuova Banca Etruria. La questione è tutta qui. C’è una semplice domanda a cui la Banca d’Italia si rifiuta di rispondere: chi ha deciso la svalutazione al 17,6 per cento dei crediti in sofferenza? E sulla base di quali criteri? L’unica risposta ufficiale disponibile è quella di Bertola: Bruxelles ha imposto la purga, il governatore Ignazio Visco e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ci hanno messo la faccia e la firma.
Le conseguenze sono molto preoccupanti per il sistema. Il sistema bancario italiano è carico di 200 miliardi di sofferenze, prestiti erogati a imprese e famiglie che faticano a tornare indietro. La valutazione al 17 per cento imposta da Bruxelles significa che per ogni 100 euro prestati si prevede di recuperarne 17. Nell’ultimo rapporto dell’Abi (Associazione bancaria italiana) si legge che a luglio 2015 le sofferenze lorde erano per l’esattezza 197 miliardi, e quelle nette (cioè misurate con la previsione di recupero) erano 84,8 miliardi. Il sistema valuta le sue sofferenze al 43 per cento. Se si applicasse il parametro di Bruxelles, cioè che le banche italiane possono sperare di recuperare 17,6 euro ogni 100 di crediti in sofferenza, gli 84,8 miliardi diventerebbero 34,7: cioè 50,1 miliardi in meno.
Qui viene il difficile: se una banca pensa di poter recuperare solo 43 euro da un credito di 100, deve accantonare 57 euro a fronte della prevedibile perdita. Ma se a Bruxelles pensano che di quei 197 miliardi di sofferenza le banche italiane ne recupereranno 34 anziché 84, ne consegue che le banche italiane dovrebbero accantonare di colpo altri 50 miliardi. L’accantonamento abbatte il patrimonio, e infatti per le quattro banche “salvate” ha provocato l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate. Si tenga presente che le banche italiane, come patrimonio, sono quelle di gran lunga più deboli in Europa.
E se, per ipotesi teorica, rettificassero al 17,6 per cento il valore delle sofferenze, alcune fallirebbero all’istante, le altre – con l’unica eccezione di Intesa Sanpaolo – dovrebbero dotarsi di nuovo capitale. Per esempio potrebbero emettere delle obbligazioni subordinate, e basta questa ipotesi a chiarire in quale guaio sono finiti il governo e Bankitalia.
Nessuno naturalmente è obbligato a svalutare le proprie sofferenze sulla base del precedente del 22 novembre. Si potrà sostenere che le sofferenze delle quattro banche erano più marce. Qui si entra nell’opinabile e a dettare legge sarà l’umore dei mercati. Se il sentimento prevalente dovesse uniformarsi a quello delle autorità europee sarebbero dolori. Da almeno un anno il progetto di Padoan e Visco di fare una bad bank pubblica da 100 miliardi, cioè di fare in grande ciò che si è fatto per le quattro banche del 22 novembre, è arenato sul valore da dare alle sofferenze: l’Italia vuole tenere il valore di bilancio, cioè il 43 per cento medio, Bruxelles replica che ritiene quelle sofferenze sopravvalutate e le banche italiane più malate di quanto appaia. Quindi, se non si va sotto il 20 per cento, è un aiuto di Stato, vietato.
Come si vede, sempre lì si casca. Il problema di Padoan e Visco è che non possono nemmeno ammettere che Banca Marche e Banca Etruria hanno in pancia crediti più marci del sistema. Banca Etruria ha venduto – solo cinque giorni prima di essere “salvata” – un pacchetto di sofferenze da 302 milioni al prezzo del 40 per cento a uno specialista come Credito Fondiario. A Jesi i commissari messi da Bankitalia hanno certificato fino all’ultimo che i 3,5 miliardi di sofferenza di Banca Marche valevano esattamente il 43 per cento, in media col sistema.
Sbugiardarli non sarebbe facile. Proprio gli ispettori della Banca d’Italia, due anni fa, sono andati alla procura della Repubblica di Arezzo a spiegare al pm Roberto Rossi che i vertici di Banca Etruria avevano commesso due reati (falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza) calcolando in modo ottimistico il peso delle sofferenze sui conti della banca. Adesso ci mancherebbe solo che Visco mandasse qualcuno dei suoi a spiegare alla procura di Ancona che i commissari scelti da lui per Banca Marche stimavano al 43 per cento sofferenze che valevano il 17. Sembra quasi una farsa, ma per l’economia italiana rischia di essere una tragedia.