Il Messaggero, 27 dicembre 2015
La mappa della persecuzione dei cristiani
La persecuzione inizia sempre con la cancellazione della croce, il Simbolo, fino ad arrivare a marciare di ’N’, Nazareno, le case dei cristiani. Cosa che avviene in tutta l’area del sedicente Califfato islamico, tra la Siria e l’Iraq, ricordando molto la volontà del nazismo di cancellare gli ebrei. La lettera della vergogna, ’N’, sigilla una nuova ondata di distruzione sistematica.
Nelle sedi delle organizzazioni internazionali una domanda è ormai difficilmente eludibile: da qui a dieci anni ci sarà ancora spazio per il cristianesimo in Medio Oriente? I cristiani saranno definitivamente scacciati dall’antica terra di provenienza?
TIMORI FONDATIA guardare i numeri di ciò che sta accadendo, i timori appaiono più che fondati. In Iraq, per esempio, dal milione di cristiani censiti negli anni 2002-2003, si è passati ai 275mila di oggi. Le stime sono approssimative e per difetto precisa monsignor Raphael Sako, Patriarca caldeo iracheno. Difficile conteggiare chi fugge. Gli attacchi diffusi restano un modo per cancellare la croce, il simbolo del cristianesimo.
In questi ultimi anni la situazione mondiale è oggettivamente peggiorata in intensità, e ha fatto aumentare il numero delle nazioni coinvolte. Iraq, Siria, Libia, Egitto, Eritrea, Somalia, Arabia Saudita, Yemen, Qatar, Emirati Arabi, Oman, Sudan, Pakistan, Afghanistan, Indonesia, Mali, Nigeria, Ciad, Etiopia, Algeria. A questi si aggiungono la Corea del Nord, la Cina, l’India, la Turchia. Tuttavia la lista resta, purtroppo, molto più estesa. Secondo uno studio del Pew Research Center i cristiani sono, o sono stati, perseguitati in ben 151 Paesi nel periodo 2006-2012, pari ai quattro quinti del mondo.
La Siria, che sotto Assad negli anni passati accoglieva i cristiani profughi dall’Iraq (ed era considerata un rifugio sicuro), da quando è scoppiata la guerra civile, a causa della proliferazione dei gruppi radicali, è diventata una trappola mortale. Lo stesso discorso vale per l’Iraq, dopo la caduta di Saddam e del proliferare al suo interno di Al Qaeda. In Somalia vari clan integralisti islamici si contendono il potere, ed è un luogo invivibile per chiunque non sia musulmano, a maggior ragione per la minoranza cristiana. In Afghanistan, nonostante la caduta del regime talebano, la persecuzione è continuata, anche col beneplacito del governo Karzai. In Pakistan, poi, per un’accusa non dimostrabile di “blasfemia”, qualsiasi cittadino può essere condannato a morte e molti cristiani sono in galera per questo motivo.
VITA IMPOSSIBILERapimenti, regole ferree e l’obbligo di pagare la jezia, la tassa islamica riservata ai non musulmani. Per i cristiani nei territori dove si osserva la Sharia, la vita è diventata impossibile. Anche se si tratta di zone in cui la presenza del cristianesimo vantava radici molto antiche. Egitto, Tunisia, Algeria, Sudan. Tra gli obblighi che avanzano anche quello di non costruire nuove chiese o monasteri, evitare di mostrare croci, divieto di utilizzare i microfoni durante i riti religiosi, non usare le campane. In altre aree infestate dai jhadisti ai cattolici viene anche imposta la tassa per gli impuri, fissata in quattro dinari d’oro per i benestanti, due per i meno abbienti e uno per i poveri con la facoltà di dilazione in due rate. Naturalmente fa da sondo il divieto di detenere armi, e vendere maiali e vino ai musulmani. Le difficoltà hanno costretto interi villaggi cristiani a spopolarsi. L’emorragia è una costante nell’indifferenza dell’Occidente.