Corriere della Sera, 27 dicembre 2015
Quello che ci rende intelligenti è una squadra di mille geni
Per l’intelligenza che ci è toccata in sorte possiamo ringraziare mamma, papà e oltre mille geni tra quelli che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Che le capacità cognitive fossero (in buona parte) ereditarie e che non esistesse un solo gene dell’intelligenza ma molti, era chiaro da tempo. Ma grazie a uno studio appena pubblicato su Nature Neuroscience ora possiamo dar loro un nome. M1 e M3. Si chiamano così le due squadre di geni, costituite rispettivamente da un migliaio e un centinaio di singoli elementi, identificate all’Imperial College London da un gruppo che comprende anche alcuni nomi italiani.
I ricercatori hanno paragonato questi geni agli atleti di un team di calcio, che giocano in diversi ruoli cooperando tra loro. Non sappiamo ancora quali siano più importanti per vincere e non conosciamo la strategia della partita. Ma è probabile che esistano dei meccanismi regolatori comuni, che garantiscono il coordinamento molecolare responsabile delle nostre facoltà cognitive, dalla capacità di giocare a scacchi al senso dell’umorismo. L’esistenza di pochi interruttori condivisi, secondo il primo firmatario della ricerca Michael Johnson, in un lontano futuro potrebbe aprire la strada a interventi per aiutare i pazienti con disabilità cognitive. Ma i geni coinvolti sono così tanti, probabilmente ben più di quelli appena individuati, da far apparire come fantascientifica l’idea di progettare bambini superdotati a tavolino.
L’intelligenza generale è difficile da definire perché è un mix di capacità differenti, come la memoria e la velocità con cui processiamo le informazioni, ma può essere misurata perché queste doti tendono a presentarsi insieme e test diversi tendono a dare risultati simili. L’ultima scoperta è arrivata componendo un puzzle impressionante di dati. I ricercatori dell’Imperial College hanno individuato i primi tasselli grazie a studi sul topo e all’analisi di un centinaio di cervelli umani conservati post mortem. Poi gli indizi sono stati confrontati con due database, rappresentativi di migliaia di volontari, sani e affetti da diverse patologie tra cui epilessia, schizofrenia e autismo. È emerso così che il quoziente intellettivo nelle persone sane è influenzato da geni che ritroviamo, in forma mutata, nei pazienti con problemi.
La forte ereditarietà delle capacità cognitive è stata confermata dagli studi sugli scimpanzé e si stima che il 40 per cento della variazione nell’intelligenza umana sia legato alla genetica. Per il resto il merito va ai fattori sociali, come la scolarizzazione e la possibilità di crescere in ambienti stimolanti. Genitori intelligenti tendono ad avere figli intelligenti perché danno loro buoni geni e buoni libri. Come ha scritto uno dei massimi studiosi dell’intelligenza, James Flynn, la dotazione naturale con cui si nasce stabilisce dei limiti al successo individuale. Una volta raggiunta l’età per prendere decisioni autonome, comunque, dipende soprattutto da noi usare ciò che abbiamo nel miglior modo possibile.