Corriere della Sera, 27 dicembre 2015
Il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo
CITTÀ DEL VATICANO Una tenda da campeggio bianca retta da tiranti fissati alla terra nuda, stuoie all’ingresso per posare le scarpe, in cima una croce di legno in equilibrio precario. Delle oltre diecimila Porte sante distribuite nel pianeta per il Giubileo della Misericordia, quella aperta il 13 dicembre a Erbil è forse la più esemplare, una tenda in tutto simile a quella che poco distante ospita il presepe e alle altre che tutt’intorno riparano le famiglie sfollate. Qui, nel Kurdistan iracheno, sono riparati centoventimila cristiani braccati dall’Isis e fuggiti l’anno scorso da Mosul e dalla Piana di Ninive, la «grande città» del libro di Giona. «Noi abbiamo deciso di non fare celebrazioni sociali né decorazioni particolari, celebriamo il Natale con silenzio e lacrime per dire ai musulmani: «Non è giusto, noi siamo cittadini come loro, non siamo cittadini di seconda classe», diceva il 25 dicembre, alla Radio Vaticana, il patriarca caldeo di Bagdad Louis Sako, pastore di una Chiesa che contava un milione e mezzo di fedeli fino alla Seconda guerra del Golfo, nel 2003, e ora non arriva a 500 mila. Ma questo è solo un caso. C’è la Siria, naturalmente. Ci sono le immagini dei centocinquanta ragazzi cristiani trucidati il 2 aprile nel college di Garissa dagli islamisti Shebaab che chiedevano di recitare i versetti
del Corano per separare i musulmani dagli «infedeli». E così via. È difficile rintracciare statistiche attendibili delle persecuzioni e dei cristiani di varie confessioni uccisi nel mondo per la loro fede. Si passa dalle «322 vittime al mese» calcolate dall’associazione evangelica Open Doors al dato di «centomila all’anno» sostenuto dallo statunitense Center for the Study of Global Christianity. Il «Libro nero della condizione dei cristiani nel mondo», curato da Jean-Michel di Falco, Timothy Radcliffe e Andrea Riccardi, mostra come il numero di cristiani perseguitati in varie forme, secondo le stime, vari tra i cento e i centocinquanta milioni, più di duecento se si considerano le discriminazioni: in ogni caso «non ci sono dubbi sul fatto che i cristiani oggi rappresentino la confessione più perseguitata del pianeta». Del resto, diceva papa Francesco, «sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi sia più forte che nei primi secoli della Chiesa: oggi ci sono più cristiani martiri che a quell’epoca».
E quest’anno, se possibile, le cose sono peggiorate. Il 2015 come Annus Horribilis dei cristiani è certificato da «Aiuto alla Chiesa che soffre», fondazione di diritto pontificio che ogni anno fa il quadro della situazione. L’ultimo rapporto, presentato a ottobre, si intitola «perseguitati e dimenticati» e prende in considerazione la situazione di 22 Paesi nei quali i battezzati subiscono «gravi limitazioni alla libertà religiosa»: Bielorussia, Cina, Egitto, Eritrea, India, Indonesia, Iran, Iraq, Israele e Territori palestinesi, Kenya, Nigeria, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Arabia Saudita, Sri Lanka, Sudan, Siria, Turchia, Turkmenistan, Ucraina e Vietnam. Nel periodo in esame, tra ottobre 2013 e giugno 2015, la situazione dei cristiani si è aggravata in 17 dei 22 Paesi. In particolare, le nazioni nelle quali la persecuzione è considerata «estrema» sono salite da 6 a 10: a Cina, Eritrea, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Corea del Nord si sono aggiunti Iraq, Nigeria, Sudan e Siria, tutti vittime della violenza islamista. Il fondamentalismo islamico riguarda 10 dei 17 Paesi dove la situazione è peggiorata, dall’Iraq alla Nigeria. Non che manchino altre forme di estremismo (pseudo) religioso: dagli attacchi anticristiani dei movimenti nazionalisti indù,
in India, agli estremisti buddisti che hanno distrutto o attaccato decine di chiese nello Sri Lanka. E poi c’è il caso degli Stati che limitano
la libertà di culto per motivi politici, dal Vietnam alla Cina, anche se qui la situazione è più complessa e in movimento. A metà ottobre una delegazione vaticana è andata a Pechino, la strategia del dialogo di Francesco prosegue e
«il solo fatto di poterci parlare è significativo», ha spiegato il Segretario di Stato Pietro Parolin.