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 2015  dicembre 24 Giovedì calendario

La ’ndrangheta che faceva politica

L’autore dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia è stato un segreto tenuto gelosamente nascosto dalla ‘ndrangheta per 32 anni. Mica come quei macellai dei «cugini» palermitani che non hanno mai fatto nulla per nascondere le mattanze di servitori dello Stato e di poveri innocenti. Discrezione, ma anche uso «parsimonioso» della violenza, dell’eliminazione di un nemico, avversario, servitore dello Stato. Insomma, a differenza dei palermitani, i calabresi hanno sempre applicato la regola di un uso molto discreto dell’omicidio politico.
Fu solo un incidente, quel 22 luglio del 1970, quando i binari interrotti della stazione di Gioia Tauro provocarono il deragliamento della «Freccia del Sud», il direttissimo Palermo-Torino carico di malati e familiari diretti a Lourdes (6 morti e 70 feriti)? Giocavano all’insurrezione armata contro lo Stato, gli ‘ndranghetisti che si erano messi al servizio del Principe Nero Junio Valerio Borghese, dei neofascisti ordinovisti e di pezzi deviati dei nostri Servizi. E loro e i neofascisti, in quell’inizio degli anni 70, mettevano bombe sulla rete ferroviaria e occupavano militarmente la città di Reggio Calabria, soffiando sul fuoco della rivolta.
Prima ancora dell’omicidio Caccia, nei neri anni Settanta, la ‘ndrangheta si era schierata con l’estrema destra. E in Calabria trovò ospitalità durante la sua latitanza, l’ordinovista Franco Freda accusato della strage di piazza Fontana.
La virata a destra tradiva le origini della «onorata società» che doveva ancora nascere e aveva il cuore che batteva a sinistra, quando era nel grembo di quegli «eroi» che rubavano ai ricchi per distribuire il bottino ai poveri, un po’ guasconi e un po’ «bravi», i briganti, nella fine dell’Ottocento. E quando nacque, ebbe eletti sindaci comunisti e ’ndranghetisti. A Caulonia fu proclamata la Repubblica rossa il 6 marzo 1945 con sindaco comunista e ’ndranghetista.
I mafiosi palermitani, invece, nati «campieri» dei latifondisti siciliani, erano già cresciuti e in quel fine Ottocento brindarono al loro primo omicidio politico (Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo, direttore generale del Banco di Sicilia).
Otto anni prima del povero procuratore Caccia, la ‘ndrangheta aveva eliminato un altro magistrato. Un omicidio ancora oggi, a distanza di oltre 40 anni, misterioso. A Lamezia Terme, cadde (3 luglio 1975) l’avvocato generale della Corte d’Appello di Catanzaro, Francesco Ferlaino, che aveva presieduto il processo storico alla mafia palermitana che si celebrava lì per legittima suspicione. Caccia aveva avvertito la novità della presenza della ‘ndrangheta in Piemonte e per questo andava eliminato. Mentre ancora oggi è avvolto nel mistero l’omicidio del sostituto procuratore presso la Cassazione, Antonino Scopelliti, che doveva sostenere l’accusa per il maxiprocesso contro Cosa nostra. Fu ucciso il 9 agosto del 1991. Fu davvero un favore ai Corleonesi?
Un movente chiaro, invece, l’aveva avuto l’omicidio di Lodovico Ligato, il 27 luglio del 1989, a Bocale, Reggio Calabria. L’ex amministratore delle Ferrovie, Dc rampante, fu eliminato perché voleva entrare negli affari della città dello Stretto rompendo fragili equilibri.
E già, l’omicidio Caccia rimane un’anomalia. Nell’elenco degli omicidi politici della ‘ndrangheta vanno inseriti anche quelli dei consiglieri comunali comunisti di Cetraro e Rosarno, Giannino Losardo e Giuseppe Valarioti (giugno 1980) e del sindaco Dc di Gioia Tauro, Vincenzo Gentile (maggio del 1987).
Ma alla fine perché la ‘ndrangheta, negli anni del terrorismo politico, per una volta decide di imitare i cugini palermitani? La ‘ndrangheta che era al Nord aveva cominciato a saccheggiare i depositi bancari. Interi paesi dell’Aspromonte conoscevano il «welfare dell’Anonima sequestri». E nessun Bruno Caccia doveva ostacolarli. O c’erano altri affari inconfessabili che non dovevano essere scoperti?