Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 24 Giovedì calendario

La commissione d’inchiesta in Italia serve solo a rendere più facile la vita della maggioranza

Nel 1973 scrissi un saggio, assai ampio, intitolato “L’inchiesta parlamentare come strumento di governo della maggioranza”. La tesi, ivi prospettata e da me tuttora sostenuta, è che in un sistema parlamentare – nel quale il governo deve godere della fiducia del Parlamento e la maggioranza non si può contrapporre platealmente al governo, pena le dimissioni del premier – le commissioni parlamentari d’inchiesta hanno le unghie spuntate. La delibera istitutiva è infatti predisposta e votata dalla maggioranza, la commissione è presieduta da un parlamentare di maggioranza, la composizione della commissione è proporzionale alla consistenza dei gruppi. Conseguentemente l’esercizio dei notevoli poteri istruttori – identici a quelli dell’autorità giudiziaria (assunzione di testimonianze sotto giuramento, sequestro di documenti, perquisizioni domiciliari e personale, ma non pronuncia di sentenze!) – è condizionato dalla volontà della maggioranza.
Ben diversamente, quindi, da quanto accade negli Stati Uniti dove le Camere del Congresso hanno una legittimazione politica “autonoma” rispetto al presidente, e pertanto possono, nello svolgimento delle indagini e degli esami, contrapporsi frontalmente all’esecutivo. Per contro, nel nostro sistema parlamentare la legittimazione del governo consegue dalla legittimazione democratica del Parlamento, per cui una contrapposizione frontale tra legislativo ed esecutivo è inimmaginabile anche solo teoricamente.
Alla luce delle inchieste fino ad allora istituite, scrivevo perciò nel 1973, citando le inchieste parlamentari di volta in volta prese in considerazione, che l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta può «servire come mezzo per procrastinare la soluzione di determinati problemi (…); per risolvere indirettamente un problema politico evitando di mettere in gioco la responsabilità governativa (…); per impostare difficili problemi politici o amministrativi in maniera favorevole o, quanto meno, non così sfavorevole come se l’impostazione fosse fatta obiettivamente (…); per alleviare in qualche modo la pressione di un’opinione pubblica che – se accentuata – potrebbe avere implicazioni negative sulla responsabilità “diffusa” del governo in carica (…)». E concludevo: che l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, serve, in definitiva, «su un piano più generale e conclusivo, per rallentare l’accertamento di fatti sfavorevoli; per assorbire più facilmente critiche altrimenti violente; per recuperare – sul piano delle indagini – la credibilità perduta nel comportamento politico e amministrativo quotidiano».
Orbene, se compariamo, da un lato, la mia tesi di allora, secondo la quale l’inchiesta parlamentare, come attualmente disciplinata nell’articolo 82 della Costituzione, serve più alla maggioranza che alle opposizioni e, dall’altro, i titoli di Repubblica del 23 novembre (“Banche, mossa del PD: Subito un’inchiesta in Parlamento”. “Oltre quaranta democratici firmano la proposta di legge”, “Il via libera del premier dopo gli attacchi: Ma ora si indaghi sugli ultimi 20 anni”), è di tutta evidenza come la proposta dei 40 parlamentari Pd di istituire un’inchiesta parlamentare, col grazioso benestare del premier, cerchi di evitare di mettere in gioco la responsabilità governativa relativamente alla vicenda dei quattro istituti, allargando l’oggetto dell’inchiesta su tutto il mondo bancario dal 2000 ad oggi, e conseguentemente impostando l’inchiesta in maniera se non smaccatamente favorevole, quanto meno non così sfavorevole come se l’inchiesta venisse decisa da un’autorità indipendente o dall’opposizione parlamentare.
La proposta del Pd tenta quindi di alleviare in qualche modo l’attuale pressione dell’opinione pubblica sul tema dei quattro istituti: pressione che – se accentuata – potrebbe addirittura avere implicazioni negative sulla stessa responsabilità del governo.
Concludo. Che le inchieste parlamentari in un sistema parlamentare servano a poco, in quanto condizionate dalla maggioranza, lo sottolineò per primo il grande sociologo tedesco Max Weber, il quale, in sede costituente della Costituzione tedesca del 1919, propose la norma, poi recepita anche nella vigente Legge fondamentale, secondo la quale il Bundestag ha addirittura il “dovere”, se richiesto da un quarto dei suoi componenti, di istituire una commissione d’inchiesta. È evidente che la composizione della commissione dovrà pur sempre rispettare la proporzionalità della consistenza dei gruppi, ma a determinare l’oggetto dell’inchiesta sarà la minoranza e non la maggioranza, che ha tutto l’interesse di «menare il can per l’aia».
Merita infine di essere ricordato che nel corso dei lavori preparatori della riforma costituzionale Renzi-Boschi, sia al Senato che alla Camera, i parlamentari del M5S e taluni parlamentari dell’allora minoranza Pd meritoriamente proposero la modifica del citato articolo 82 della Costituzione, al fine di recepire, anche da noi, il modello tedesco. Un tentativo che qualificherei “illuministico” sol che si rifletta che l’idea di fondo della riforma Renzi-Boschi era ed è quella, opposta, di rafforzare il ruolo del governo a spese del Parlamento. E difatti quella proposta venne platealmente snobbata.