la Repubblica, 24 dicembre 2015
Khadiga Shabbi scarcerata, faceva propaganda allo Stato islamico da Palermo
La sua pagina Facebook era piena di appelli alla guerra santa e allo Stato islamico. Khadiga Shabbi, quarantacinquenne libica dottoranda di ricerca alla facoltà di Economia, è rimasta in carcere solo tre giorni. La divisione antiterrorismo della Digos l’aveva fermata domenica con l’accusa di istigazione e apologia di reato con finalità di terrorismo. Il gip Fernando Sestito non ha convalidato il fermo dei pm Leonardo Agueci e Geri Ferrara («Non c’è pericolo di fuga») e pur condividendo il quadro delle accuse («C’è il pericolo di recidiva») ha ritenuto sufficiente un obbligo di dimora. Lasciandole anche l’accesso a Internet. «Le condotte della donna – scrive il giudice – si sono limitate a prese di posizione talora pubbliche slegate da contributi effettivi a gruppi terroristici». A Palermo è polemica. Il procuratore Francesco Lo Voi annuncia appello: «La misura è del tutto inadeguata alle esigenze cautelari e all’intensissima rete di rapporti intrattenuta dall’indagata». Khadiga Shabbi è da tre anni a Palermo: nel 2013, aveva una borsa di studio del nostro ministero degli Esteri, adesso è l’università a sostenerla. Faceva una vita molto riservata, fra la facoltà e la sua casa nel popolare quartiere dell’Albergheria. Era attivissima nella propaganda della jihad su Facebook, i suoi contatti erano all’interno di gruppi estremisti in Libia, fra cui militava il nipote, che la dottoranda voleva portare a Palermo. Dopo l’attentato alla redazione di “Charlie Hebdo” scriveva: «La libertà della matita non permette di offendere». Ventiquattr’ore prima dell’assalto all’hotel Corintihia di Tripoli auspicava: «Presto la maledizione del sangue dei giovani libici arriverà a voi». E ancora: «A chi dice che i giovani di Bengasi sono dell’Is io dico è vero che loro sono giovani religiosi e a favore alla costituzione dello stato islamico. Anche io spero nella creazione dello Stato islamico e l’Is può essere un vero Stato islamico». Parole che preoccupano il procuratore nazionale Franco Roberti, che parla di «forti e fondati elementi per la conferma della custodia cautelare». Il ministro della Giustizia Orlando non vuole entrare nella polemica: «Rispettiamo la decisione, in ogni caso non è una pronuncia nel merito». Sembra che l’indagine sia ancora in corso. Il questore di Palermo Guido Longo si limita a dire: «Noi proseguiamo il nostro lavoro, sia a livello investigativo che preventivo».