la Repubblica, 24 dicembre 2015
Khadiga nega di essere una terrorista
PALERMO «Io non sono una terrorista», ripete in lacrime Khadiga Shabbi mentre esce dal carcere di Pagliarelli. «L’ho detto a tutte le ragazze che ho incontrato qui dentro. Soltanto una non mi ha creduta. E questo mi fa male, perché io sono un’insegnante».
Però l’accusano di aver fatto propaganda per la jihad su Facebook e di aver tenuto contatti con esponenti delle milizie islamiche in Libia che sono alleate con l’Is. Come lo giustifica?
«Io sono contro l’Is. Contro, contro, contro. Sono una musulmana, osservo il Corano e non c’è alcuna frase nel Corano che possa giustificare ciò che fanno queste persone».
Ma le intercettazioni sul suo computer dicono altro. Lei era in contatto con diversi estremisti in Libia, scriveva pure sui loro siti.
«Ma loro non c’entrano niente con l’Is. In Libia c’è la guerra fra due gruppi, e quelli con cui io ero in contatto sono gli stessi che hanno deposto Gheddafi. Prima, tutto il mondo era con loro, quando hanno sconfitto il vecchio regime. E comunque io volevo solo sapere notizie di mio nipote, ero preoccupata per lui. E poi purtroppo è morto».
Guardi che gli estremisti di “Ansar al-Sharia” hanno dichiarato la propria alleanza con lo stato islamico, come fa a non saperlo? Nel suo computer la polizia ha trovato le foto di questi miliziani con la bandiera nera dell’Is.
«Ma non sono terroristi, insisto. E usano solo la bandiera storica dell’Islam. È nera, perché c’è la guerra in Libia. Della stessa bandiera si sono impossessati quelli dell’Is, senza chiedere il permesso a nessuno. Io sono orgogliosa della bandiera, e non perchè è dell’Is, ma appunto perché è la bandiera storica dell’Islam».
La polizia l’ha intercettata mentre faceva dei bonifici all’estero? A chi ha mandato quei soldi?
«A persone amiche, non certo a terroristi. Guardi, io sto bene a Palermo e voglio restarci».
Perché ha scelto di trasferirsi a Palermo?
«Perché è vicina al mio Paese, posso tornarci quando voglio. E poi all’università di questa città mi è stato consentito di fare una ricerca in cui credo molto, sui metodi di amministrazione degli ospedali libici».
Resterà in Sicilia?
«Palermo è la mia città. Ho ancora un anno per completare la ricerca all’università di Economia. Voglio portarla a termine, anche se adesso ho paura che questi giorni in carcere mi possano danneggiare».
Ammetterà che non sono proprio le parole di una ricercatrice quelle che sono state intercettate dalla nostra polizia. Il 28 gennaio, prima che un commando dell’Is attaccasse l’hotel Corintihia di Tripoli, lei scriveva questo post sul suo profilo Facebook: “Presto la maledizione del sangue dei giovani libici arriverà a voi”. E ancora: “Io spero nella creazione di uno Stato islamico”. Parole che non lasciano spazio a molte interpretazioni».
«Non riesco a spiegarmi bene, non trovo le parole giuste. Ci vorrebbe tempo. Tutto ciò riguarda la guerra in Libia, non l’Is. Voi la conoscete la verità sulla guerra in Libia? Sapete cosa sta accadendo adesso a Bengasi? Ci vorrebbero parole grosse per spiegare. E non le trovo».
Dovrà trovarle le parole per spiegare cosa è successo ai suoi studenti. Le faranno di sicuro molte domande.
«Dirò che io sono contro l’Is. Poi, spiegherò cosa sta accadendo in Libia. Spiegherò con pazienza».
Non ha avuto la stessa pazienza con la sua amica Najat, l’ha minacciata in malo modo, anche questo emerge dalle intercettazioni della polizia. Perché quelle minacce?
«Anche quella storia riguarda la guerra in Libia e i due gruppi che si sono venuti a creare. Purtroppo, la guerra ha fatto tanto male a Bengasi».
Il fratello della sua amica, che sta in Libia, le ha addirittura telefonato, temendo che potesse accadere qualcosa di grave a Najat.
«Ma cosa doveva accadere?»
Me lo dica lei.
«Adesso devo tornare a casa».