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 2015  dicembre 24 Giovedì calendario

Le disinvolture di Banca Etruria

Una perquisizione della Guardia di Finanza nella filiale della banca Etruria di Civitavecchia e un documento di Bankitalia che dimostra una svista da quasi mezzo miliardo da parte degli amministratori della sede centrale di Arezzo. L’inchiesta su Banca Etruria si muove su più fronti.
IL BLITZ A CIVITAVECCHIA
Ieri mattina i finanzieri del nucleo di polizia valutaria insieme al procuratore Alessandra D’Amore, titolare del fascicolo sulla morte di Luigino D’Angelo, il pensionato che il 28 novembre scorso si è tolto la vita dopo aver scoperto di aver perso i risparmi di una vita, hanno perquisito la sede di Civitavecchia. Oltre a sequestrare il carteggio relativo alla pratica di Luigino – dai questionari Mifid all’acquisto di azioni e obbligazioni – anche documentazione di altri risparmiatori di quella banca.
IL REATO DI TRUFFA
Il motivo della perquisizione di ieri sta nell’apertura di un’indagine parallela a quella per istigazione al suicidio. Tutto ciò che riguarda infatti la morte del pensionato, che in una lettera testamento aveva indicato i motivi e i responsabili del suo gesto, è affidato alla terza sezione della squadra mobile di Roma. Gli inquirenti hanno già interrogato Marcello Bendetti, il dipendente di banca Etruria che asserisce di aver venduto le obbligazioni subordinate a D’Angelo (e a molti altri) e che, in un’intervista esclusiva a Repubblica, aveva dichiarato di aver subito delle forti pressioni dai direttori della banca affinchè i risparmiatori acquistassero quei bond a perdere. L’uomo, allontanato nel luglio del 2014 dalla filiale di Civitavecchia per aver sottratto soldi ai correntisti in maniera illecita, ha chiesto che venisse secretato l’interrogatorio. Le sue parole però hanno fatto scattare il secondo filone di indagine, che è quello appunto affidato alla Guardia di Finanza, con un’ipotesi di reato diversa: truffa. Se è vero, come più di un dipendente su scala nazionale di Banca Etruria sembra ammettere, che si aveva contezza di vendere prodotti “fuffa” a fronte di un già assodato crac dell’istituto, allora si profilano responsabilità penali molto serie.
IL PC DELLA VITTIMA
Proprio per questo motivo è stato sequestrato anche il computer della vittima. All’indomani della tragedia dalla centrale di Arezzo era arrivato un comunicato che sostanzialmente attribuiva a Luigino la responsabilità dell’acquisto di bond nel mercato secondario. Nel pc dovrebbero dunque trovarsi tracce delle sue operazioni “autonome”. Ad oggi nessun nome compare nel registro degli indagati, ma già dalla prossima settimana verranno ascoltati in procura sia il direttore della filiale di Banca Etruria di Civitavecchia (quello in carica quando sono state vendute le subordinate a Luigino), sia quello attualmente in carica, sia i dipendenti per chiarire bene i contorni della vicenda.
LA RELAZIONE DI BANKITALIA
Intanto dalla relazione della seconda ispezione di Bankitalia (18 marzo – 6 settembre 2013) viene fuori che gli amministratori della Popolare dell’Etruria avevano un concetto tutto loro su come tenere i conti. Scrive il capo del team di ispettori Emanuele Gatti: «Al 31 dicembre del 2012 sono emerse posizioni in sofferenza per 1.2 miliardi di euro, incagli per 933,8 milioni e previsioni di perdita per 931 milioni. Le differenze rispetto alle evidenze aziendali sono pari, nell’ordine, a 187,4 milioni, 85,5 milioni e 136,7 milioni”. Tradotto: tra i documenti contabili che il cda di allora (presidente Giuseppe Fornasari) forniva e i calcoli degli uomini mandati da Palazzo Koch c’era uno scarto di 410 milioni di euro.
IL CONTROLLATO CONTROLLAVA
È anche da questa svista milionaria che è partita l’indagine del procuratore di Arezzo Roberto Rossi per ostacolo alla vigilanza: indagati Fornasari, l’ex dg Luca Bronchi, il dirigente centrale David Canestri. Com’era possibile che nessuno, all’interno del management della Popolare, si fosse accorto che i rendiconti fossero così lontani dalla realtà? La risposta la si legge qualche riga dopo. «Si segnala l’impropria commistione in capo a un’unica Direzione (Pianificazione, Risk e Compliance) di compiti operativi e di controllo. Il penetrante coinvolgimento della struttura nella definizione degli obiettivi di rischio, reddito e patrimonio ne ha indebolito funzionalità e indipendenza».
AFFARI CON L’UOMO DI TANGENTOPOLI
Il capitolo “consulenze”, poi, è ricchissimo. Una verifica del gennaio 2015 scopre comportamenti “anomali” dell’ex dg Bronchi: “delibere assunte oltre i poteri delegategli”, “numerosi pagamenti a fronte di prestazioni non preventivamente contrattualizzate”, “incarichi conferiti contestualmente a diversi professionisti sulle stesse materie”. Tra le consulenze segnalate dagli uomini di Bankitalia e richiamate in un terzo verbale (relativo all’ultima ispezione: novembre 2014-febbraio 2015), ce n’è una da 235 mila euro per “il supporto alle attività commerciali e culturali coordinate dalla Direzione generale” data alla Mosaico srl. La storia della Mosaico è stata ricostruita ieri dall’Espresso: si occupa di servizi artistici e gli azionisti sono Giulia e Giorgio Zamorani, i figli di Alberto Zamorani, l’ex vicedirettore generale dell’Italstat arrestato nel 1992 per l’inchiesta sulle mazzette nelle autostrade. Zamorani ha lavorato con Rigotti tra il 2000 e il 2008 nel Gruppo Abm, che ha ricevuto finanziamenti per una ventina di milioni di euro da Etruria. Fu di Rigotti, secondo una qualificata fonte di Repubblica, il voto decisivo nel cda che nel 2009 fece vincere la cordata “democristiana” Fornasari-Rosi a scapito dell’allora presidente Elio Faralli.