Corriere della Sera, 24 dicembre 2015
La grandezza di Allegri, portuale di Livorno: «L’allenatore più grande è quello che fa meno danni»
Massimiliano Allegri: dalle grida scatenate contro la sua squadra a Modena al – 3 in classifica dall’Inter. Ha urlato anche di gioia?
«Sa cosa mi ha detto mia madre prima della partita? Hai la tosse, non urlare altrimenti perdi la voce».
Al ritorno giocherete con Roma, Napoli e Inter in casa. Non male, le pare?
«È normale che possa essere un vantaggio. Al Milan l’anno dello scudetto abbiamo vinto i due derby e gli scontri diretti col Napoli. Le grandi sfide saranno molto importanti».
Cos’ha l’Inter più di voi?
«Sta gestendo bene le cose, al di là del k.o. con la Lazio. E ha un tecnico che sa come si vince».
Voi cosa avete in più?
«Dobbiamo avere margini di miglioramento: possiamo fare una grande stagione».
A inizio anno avevate meno fame?
«Ci siamo ritrovati con 10 giocatori nuovi e con l’incertezza di aver perso le certezze. Dopo il successo di Shanghai siamo ripartiti in modo disastroso. Ora la squadra è omogenea. Dobbiamo continuare così, stiamo crescendo e non dobbiamo fermarci: il mantenimento non esiste».
L’addio di Guardiola al Bayern cambierà qualcosa in Champions?
«No, anzi. L’anno in cui annunciarono il suo arrivo e l’addio di Heynckes, hanno vinto la Coppa».
In due partite come si fa a passare?
«Bisogna essere bravi a ridurle a una sola».
Mettendo il pullman davanti alla porta stile Mourinho?
«No, sarà una bella partita. Dobbiamo prepararci al meglio per fare un grande ottavo di finale. E uscirne rafforzati per affrontare poi la volata in campionato».
Un uomo di mare sta meglio a Milano o a Torino?
«Sono due città belle e diverse, che ti lasciano vivere. Torino comunque è più riservata. Milano più tentatrice e godereccia».
Nella gestione della crisi tra Milan e Juve che differenze ci sono?
«Alla fine la società è la colonna portante. Se è compatta e tosta vieni fuori dai problemi. Allenatori e giocatori passano e per questo il tifoso si deve rispecchiare nella società».
L’ha stupita la velocità di apprendimento di Dybala?
«Molto. Ma basta guardarlo negli occhi per capire che ha la voglia e la determinazione di raggiungere l’obiettivo. Ha più istinto killer di Morata e Pogba, perché ha fatto la gavetta».
Ha litigato più da giocatore o da allenatore?
«Oggi come allora ho bisogno del confronto, anche violento. E i giocatori devono reggerlo».
I cavalli buoni hanno bisogno della frusta?
«Sì, bisogna stargli addosso. Soprattutto a quelli buoni».
È nata prima la sua passione per i cavalli o per il pallone?
«Mio nonno mi portava alla corse: in famiglia è rimasta famosa quella volta in cui rientrando dall’ippodromo dormivo mentre camminavo. Letteralmente».
Ci va ancora?
«No, in Italia c’è una mentalità molto ottusa: si direbbe subito che Allegri ha ripreso a giocare ai cavalli e che pensa solo a quelli. I soldi? Al gioco si perde, ma il vero problema è che l’ippica è andata in malora».
Al Coteto, il quartiere di Livorno dove è cresciuto, si stava bene?
«Sì. I portuali come mio padre negli anni 70 erano ben pagati. Ma il porto, che era tra i primi d’Europa, è stato distrutto: non hanno pensato che con le navi più grosse sarebbero serviti fondali diversi».
È legato alle sue radici?
«Molto. Vado sempre al bar del Coteto, a Natale è d’obbligo la raminata. E se non fa freddo anche la gabbionata (il calcetto nella gabbia ndr ) con bagno a mare. Ma io sono cresciuto negli anni 70, erano comunque gli anni di piombo e dell’eroina. Alla sera dovevi stare molto attento».
Amici segnati da questi drammi?
«Dal terrorismo no, ma dalla droga tanti».
Lei ha sempre fatto vita da atleta?
«Sì. La droga mi ha sempre terrorizzato e sono terrorizzato per i miei figli. La vita va vissuta, anche facendo i propri errori, ma con una filosofia positiva».
A 65 anni si vede ancora in panchina?
«No. Spero che mia figlia mi regali dei nipoti e se il Signore mi dà la possibilità di stare bene vorrei godermi la vita. Non bisogna arrivare ad essere patetici. E bisogna uscire da vincitori».
Cavalli e calcio, ma anche soldi e donne. Da 1 a 10 quanto si è goduto la vita fino adesso?
«Non dico 10 perché la perfezione non esiste, ma da 8 o 9 me la sono goduta. La vita va vissuta – nelle regole e senza far male a nessuno —. Se uno la vive nella tristezza quotidiana e la subisce passivamente, che senso ha?».
A suo figlio di 4 anni cosa regala per Natale?
«Vorrei riuscire a trasmettergli i valori che ho ricevuto io. E che nel mondo di oggi rischiano di perdersi. I ragazzi sono molto più deboli psicologicamente, perché la tecnologia è utilissima ma ha diminuito il confronto umano».
È partito da suo figlio ed è arrivato ai suoi giocatori. Come mai?
«Con i figli impari l’arte della pazienza».
Gestire i giovani è diventata ormai una sua specialità?
«Magari è una qualità che ho dentro. Non credo di essere un capo, ma una guida. Aiutare i più giovani a inserirsi, anche nella vita».
Ci spiega la teoria del cazzeggio creativo?
«Quando dico che non si può lavorare 24 ore al giorno non lo dico perché non ho voglia di fare, ma perché ci sono degli studi approfonditi di psicologia che lo dimostrano».
E il cazzeggio?
«Quando la concentrazione ha un picco a ribasso la devi portare ancora più giù, per avere un rimbalzo verso l’alto. Magari sono davanti alla tv che guardo “Paw Patrol”, un cartone, con mio figlio e mi viene in mente qualcosa dell’allenamento o per la partita della domenica».
Lei cita Fantozzi. Non teme di dare un’immagine di sé sbagliata?
«No. Come uno mi vede, io sono. Chi cita qualcos’altro non sa di cosa sta parlando».
Ramazzotti ha paragonato Conte a Morandi e lei a Bocelli, molto più celebrato all’estero.
«La vetrina europea è importante. Dopo la finale di Berlino la popolarità internazionale della Juve è cambiata. Il campionato conta e devi vincere. Ma la Champions la vedono in tutto il mondo e almeno agli ottavi ci devi essere sempre».
La sua necessità del trequartista è una proiezione da ex calciatore?
«No, ho iniziato quando allenavo il Cagliari. Lo considero la variabile impazzita. Un giocatore offensivo capace anche di rientrare».
Un collega da invitare a pranzo?
«Guardiola, quello che mi ha fatto soffrire di più. È l’unico che cambia la squadra in campo durante la partita».
Un personaggio storico con cui le piacerebbe confrontarsi?
«Visto che predico sempre calma e pazienza, sarebbe stato Gandhi».
I sei mesi sabbatici tra Milan e Juve come li ha vissuti?
«Andando a Londra a vedere partite».
Perché Londra?
«Perché ci sono 12 squadre e soprattutto per parlare inglese».
Come se la cava?
«Devo sbloccarmi nella conversazione. Ma sto facendo passi da gigante».
Lei ha avuto presidenti mai banali. A cominciare da Squinzi al Sassuolo.
«Persona squisita, molto serio e umile. Ci sentiamo ancora».
Ha insegnato la pazienza anche a Cellino che la tenne dopo le prime 5 sconfitte?
«No, lui è un genio che vede le cose con un anno di anticipo. È stato una scuola per me».
Berlusconi è stato una palestra?
«Non ho mai avuto un cattivo rapporto con lui. Andavamo d’accordo su tutto. Anche sulle scelte di formazione…».
Agnelli?
«Mi ha imbarazzato quando mi ha chiesto di dargli del tu. È molto quadrato, farà una grande carriera a livello internazionale».
Anche lei?
«Mi diverto. Sapendo, me lo disse Cellino, che una grande carriera non dura più di 15 anni».
L’allenatore conta davvero solo il 5%?
«No. Ma quello più bravo è quello che fa meno danni».