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 2015  dicembre 24 Giovedì calendario

I Riello hanno venduto agli americani

«Ci stavamo ragionando da un po’. Anche le mie sorelle, Lucia e Roberta, erano concordi. Bisognava cedere il controllo per consentire all’azienda di avere accesso ad un mercato potenzialmente globale». Parole e pensieri di Ettore Riello, presidente dell’omonimo gruppo attivo nella fornitura di prodotti nel settore dei riscaldamenti. Da ieri americano. Circa il 68% circa del capitale (per un’operazione da 340 milioni di euro senza aumento di capitale e a copertura dell’indebitamento) sarà di United Technologies Corporation, un colosso da 65 miliardi di dollari di fatturato e quartier generale ad Hartford nel Connecticut. La famiglia Riello (consigliata da Lazard) conserverà la parte restante delle quote. Ma non è esclusa sul lungo termine l’uscita. Si vedrà. Al «Corriere della Sera» confida che ieri – all’atto della firma – qualche sussulto (emotivo) l’ha avuto. D’altronde l’azienda è sempre stata a controllo familiare, pur con figure manageriali esterne come l’amministratore delegato, Umberto Ferretti, e il direttore finanziario, Marco Tagliapietra, che conserveranno gli attuali incarichi anche nella nuova gestione. Circa 2mila addetti, di cui 800 in Italia e 1.200 all’estero (in Polonia), quartier generale a Legnago (Verona), stabilimenti un po’ ovunque. Due in Veneto (Volpago del Montello, vicino Treviso, e Piombino Dese) che producono le caldaie a basamento, in Lombardia (Morbegno, provincia di Sondrio), in Abruzzo (Pescara). Alcuni interessati da cassa integrazione, come a Morbegno dove si realizza la componentistica per le caldaie murali.
Gli americani di Utc l’hanno spuntata sugli olandesi di Bdr Thermea perché nel mercato dei riscaldamenti non hanno particolari prodotti (se non negli Usa) e le sinergie erano migliori. Al netto di qualche sovrapposizione in Ucraina dove si esprimerà l’Antitrust locale. «Nessuna rilevante manifestazione di interesse da parte di aziende italiane», lamenta Riello. Che sottolinea come la meccanica sia un settore privo di vere politiche industriali e per crescere di taglia è necessario essere preda delle multinazionali. L’operazione ha avuto l’ok delle banche creditrici (Unicredit, Intesa, Bpm e Banco Popolare), che hanno rinunciato complessivamente a 40 milioni di crediti per chiudere l’accordo.