Corriere della Sera, 24 dicembre 2015
La moneta dello Zimbabwe adesso è lo yuan
Non ci sono più soldi? Adottiamo la moneta cinese. Robert Mugabe, il presidente elefante del disastrato Zimbabwe, ha già più volte presieduto all’affondamento dell’economia nazionale. E sa come farvi fronte, visto che resiste al potere dal 1980. Negli anni Novanta dichiarò bancarotta. Negli anni Duemila stampò vagoni di moneta. E quando l’inflazione toccò il tasso del 500 miliardi per cento, lasciò che il dollaro Usa (e in seconda battuta il rand sudafricano) diventassero la valuta corrente con cui fare la spesa al mercato o pagare gli stipendi ai poliziotti. Adesso «the old man» è arrivato a un’altra svolta (molto simbolica), che qualcuno può leggere come il segno dell’avanzata del Celeste Impero nel continente nero. Da oggi a Harare si potranno usare le banconote della vicina(amica) Cina.
La notizia campeggia sulla prima pagina del quotidiano finanziario The Financial Times. Anche se sembra quasi uno scherzo, più che una prova della presenza sempre più marcata della Cina in Africa. Di certo rappresenta un omaggio, più che una possibilità concreta. Chi userebbe lo yuan in un Paese con un piccolo pil da 13 miliardi di dollari sempre più in caduta libera? Dove l’abituale forma di scambio è il baratto? Suonano ridicole le motivazioni offerte dal ministro delle Finanze Chinamasa, secondo cui la novità potrà «molto agevolare il turismo» dall’Oriente.
Il viaggio che più conta l’ha fatto il presidente cinese Xi Jinping, che il mese scorso ha effettuato una visita di Stato atterrando in una delle capitali paria dell’Africa (agli occhi degli occidentali). «Apprezziamo molto la flessibilità cinese», ha gongolato il novantunenne Mugabe (sottoposto a sanzioni internazionali) ricevendo il generoso ospite. E ieri al giornale governativo Sunday Mail il ministro che regge all’Elefante i cordoni della borsa ha annunciato che Pechino graziosamente ha cancellato la fetta di 40 milioni di debito che avrebbe dovuto riscuotere alla fine del 2015.
Lo Zimbabwe cade a pezzi. Difficile immaginarlo come ambita nuova colonia del gigante cinese, pur comprata a prezzi stracciati. Anche se, all’inizio di dicembre, Xi Jinping ha promesso per l’intero continente 60 miliardi di dollari in finanziamenti allo sviluppo, parlando al «Forum on China-Africa Cooperation» di Johannesburg che ha richiamato intorno a lui ben 40 capi di Stato (altro che il tour di Obama). Intanto però più dell’85% delle transazioni nel Paese di Mugabe avviene ancora con i dollari del «nemico americano» (contro cui l’Elefante tuona spesso). Il resto è rand, la (debole) valuta del confinante Sudafrica dove lavorano 3 milioni di emigrati dallo Zimbabwe. Mentre la crisi è tornata a mordere duro. Quest’anno la siccità ha dimezzato i raccolti di mais (1,5 milioni di persone senza cibo). In netto calo il business del tabacco (prima esportazione). Semafori spenti per i blackout, nelle strade buche grandi come laghi. In un Paese di 14 milioni di abitanti, solo 700 mila hanno un lavoro «formale».
Che importa, adesso nello Zim arriva lo yuan. Mentre un Paese in ginocchio conta i giorni che restano all’Elefante. Yuan sì, Confucio no (Mugabe a ottobre ha rifiutato il discusso «Premio Confucio» per la pace dopo aver saputo che non veniva dal governo di Pechino). Il 2016 è visto come l’anno del cambio al vertice dopo 35 anni. Il vice attuale, il truce Mnangagwa detto il Coccodrillo, pare in pole position per una (poco democratica) successione. Ma occhio alla first lady Grace, che tra l’altro più del Cocco è di casa a Hong Kong (dove hanno studiato i figli). E se il vecchio Bob cercasse di ingraziarsi i cinesi per dare un puntello alla moglie?