Corriere della Sera, 24 dicembre 2015
La guerra di Renzi a corporazioni e sindacati ha portato consensi a Grillo
Il premier ha fatto della disintermediazione uno dei suoi cavalli di battaglia sostenendo che tra i tanti motivi della bassa crescita italiana c’era proprio il potere di veto delle corporazioni consolidatosi nel rito della concertazione. Coerentemente con quest’analisi Renzi ha via via messo nel mirino i vizi dei sindacati e delle associazioni artigiane accusate di privilegiare le logiche di potere rispetto alla rappresentanza dei propri iscritti, di coltivare una visione della società ormai fuori registro e di aver chiuso le porte all’innovazione.
Fin qui poco da dire, e forse parecchio da condividere, ma Renzi avrebbe dovuto poi mostrare il dividendo della deregulation, avrebbe dovuto esibire alla base sindacale e al ceto medio un Pil scoppiettante. Non gli è stato possibile e così non ha incassato i frutti della sua campagna politica.
Per dirla con una vecchia immagine della politica ha scosso l’albero ma non ha raccolto le mele, la sua constituency non si è allargata, non ha aumentato il pescaggio sociale. È sempre elevato il consenso di opinione per Renzi e il Pd ma deriva più dalla capacità (politica) di presentarsi come l’unica offerta affidabile – da qui la forte attenzione dell’area centrista e degli imprenditori privati medio-grandi – che da un ampio convincimento (sociale) sui provvedimenti adottati. L’unica eccezione sono stati gli 80 euro e l’hanno infatti portato oltre quota 40.
I corpi intermedi, dal canto loro, attraversano una fase di grande stanchezza. Quando si riuniscono insieme le tre segreterie di Cgil-Cisl-Uil è un evento segnalato persino dalle agenzie di stampa e per confezionare un documento unitario passano settimane.
Rete imprese Italia che doveva portare alla creazione della rappresentanza unica del ceto medio produttivo non viene nemmeno più nominata. La Grande crisi li ha segnati, li ha portati a ripiegare sulla difensiva e a rimandare a tempi migliori i progetti.
Davanti all’attacco di Renzi la società di mezzo si è prima indignata e poi quasi rassegnata alla perdita di interlocuzione. Scontando l’irrilevanza si difende come può, ottenendo qualche misura ad hoc (l’aumento del contante) oppure riprendendo a scioperare.
Gli iscritti a Cgil-Cisl-Uil e gli artigiani/commercianti associati non si sono certo avvicinati elettoralmente a Renzi, anzi una parte dei lavoratori dipendenti ha cominciato a sostenere nei sondaggi la scelta del non voto mentre i piccolissimi imprenditori si sono via via avvicinati a Grillo.
Dalla fine della concertazione dunque più che il Pil ne hanno guadagnato i Cinquestelle. Non hanno dovuto far molto, è riuscito loro di porsi come piattaforma di riferimento dei delusi sia del renzismo sia della rappresentanza.
Il «piccolo» non vede risultati tangibili arrivare dall’Europa e dal governo e sospetta che le banche siano contro di lui.
Con tutta probabilità avrebbe aderito alla battaglia della disintermediazione, avrebbe lui stesso contribuito a lottare contro le corporazioni ma visto che Matteo Renzi si è fermato a metà del guado ora trova sfogo nel grillismo. Che da parte sua è riuscito in un’operazione tutt’altro che facile: ha sommato lo stock dei vecchi consensi che gli venivano dalla battaglia contro i costi della politica ai nuovi flussi costituiti dall’appoggio di chi si sente maggiormente colpito dalla crisi.