il Messaggero, 23 dicembre 2015
In otto per uccidere Cucchi
Menzogne, raggiri, guerre interne e collusioni, e persino una frase choc: «Era un drogato. Non valeva un milione di risarcimento». La nuova inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi è come un pentolone pieno di veleni. Dalle tremila pagine depositate dalla procura si capisce che i cinque carabinieri, ora indagati nella nuova inchiesta, sarebbero riusciti a ottenere la complicità di quelli che li circondavano. Anche se erano in tanti a sapere, almeno una trentina di persone. Ad aprire il nuovo fronte sono Riccardo Casamassima e la compagna Maria Rosati, entrambi militari dell’Arma in servizio in quella caserma. Scrive la squadra mobile che indaga sulla vicenda: «I due affrontano al telefono l’argomento. E Riccardo asserisce che “tutti, ma proprio tutti sanno che so stati i carabinieri a massacrallo de botte a quello” e che loro, ossia lui e la moglie, erano a conoscenza dei dettagli. Poi aggiunge: “Noi le cose le abbiamo sempre fatte amo’, dagli arresti di Tor Vergata a tutti gli altri cazzi, abbiamo avuto le bustarelle, le abbiamo sempre riferite, che poi l’Arma si rivolta contro, quello ormai si sa’, però là ci sta’ un ragazzo che è morto, non ci stanno le puttanate”».
L’INTERROGATORIOLa conversazione precede l’interrogatorio a cui Casamassima verrà sottoposto. Dagli atti sembra che l’uomo agisca più per desiderio di rivalsa che non per presa di coscienza, perché le cose all’interno della caserma non vanno come vorrebbe. Un tipo strano anche lui: gli accertamenti rilevano che chiama più volte Fabiola Moretti, quella che è stata la donna di Danilo Abbruciati, uno dei boss della Banda della Magliana. Gli investigatori ritengono che lo faccia perché è da lei che compra sostanza stupefacente per uso personale.
Le sue dichiarazioni verranno cristallizzate durante l’incidente probatorio fissato per il 29 gennaio davanti al gip Elvira Tamburelli. Casamassima decide di parlare ma sa quello a cui andrà incontro, o almeno lo teme. Tanto che a un amico carabiniere dice: «C’ho paura. Questi sono bastardi e una volta che esce sta cosa qua sai che cazzo mi combinano! Mi fanno “nuovo nuovo”, mi fanno». Ai pm aveva raccontato di quando prestava servizio presso la stazione di Roma Tor Vergata, dal 2008 al 2010, dove c’era anche il maresciallo Roberto Mandolini, uno degli indagati. «Quest’ultimo – ha chiarito il teste – un mese dopo il suo trasferimento presso la stazione di Roma Appia, si è presentato a quella di Tor Vergata, con le mani sulla fronte e mi ha confidato: “è successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato”. Poi è entrato nell’ufficio del comandante, il maresciallo Enrico Mastronardi, dove c’era anche la mia compagna Maria Rosati. È stata allontanata dalla stanza ma prima ha avuto modo di sentire che l’arrestato a cui faceva riferimento Mandolini si chiamava Cucchi e che stavano cercando di scaricare la responsabilità di quanto successo sugli agenti della Polizia penitenziaria».
Casamassima aggiunge anche che «lo hanno massacrato di botte in otto, tutti e otto». La ragione potrebbe essere stata uno schiaffo che Cucchi ha dato ai carabinieri che volevano prendergli le impronte. Da lì la furia bestiale. Che fossero in otto, lo deduce per i trasferimenti avvenuti in seguito: «Solo analizzando i trasferimenti – riferisce ancora agli inquirenti – possono trarsi elementi per capire chi ha partecipato al pestaggio, in quanto vi sono trasferimenti cosiddetti “premiali”, a esempio un trasferimento vicino casa, e trasferimenti “punitivi": mi risulta che Roberto Mandolini sia stato trasferito al Battaglione di Tor di Quinto e questo è certamente un trasferimento punitivo, in quanto il Battaglione e la Compagna Speciale sono reparti pieni di colleghi che hanno problemi con la giustizia».