la Repubblica, 23 dicembre 2015
Sul colore delle piume di uccello
Colori intensi e brillanti che non sbiadiscono mai: ma qual è il segreto delle piume degli uccelli, così allegre da aver costituito il primo ornamento dell’uomo, il cui “piumaggio”, invece, ingrigisce inesorabilmente? Lo ha scoperto un team di scienziati dell’Università di Sheffield guidati dal biofisico Andrew Parnell, che ha appena pubblicato i risultati del suo studio sulle piume della ghiandaia sulla rivista Scientific Reports.
Qui gli studiosi spiegano di aver svelato «come sulle barbe delle penne, le tante laminette che compongono una piuma, e sulle loro barbule (a loro volta sottili ramificazioni perpendicolari che partono dalle barbe) si estende un reticolo di nanostrutture che, allargandosi e restringendosi, controlla il modo in cui la luce si rifrange sulle piume e di conseguenza la colorazione brillante, che non si usura nel tempo come invece accade ai pigmenti».
Per carità, che la brillantezza del piumaggio fosse determinata dalla rifrazione della luce era cosa nota. Ma nessuno finora ne aveva studiato il meccanismo così nei minimi particolari. Per analizzare le diverse sfumature delle piume di ghiandaia – nuance che vanno dal bianco all’azzurro e che servono ad attrarre i compagni – gli studiosi hanno fatto ricorso ai sofisticati marchingegni dell’European synchrotron radiation facility di Grenoble, il più importante centro studi per osservare la materia ai raggi X. Qui, attraverso un processo chiamato X ray scattering, hanno esaminato il modo in cui i raggi rimbalzano su strutture infinitamente piccole: «Le piume – spiegano – sono composte di cheratina: la stessa proteina dei capelli e delle unghie. Ma analizzata su scala nanometrica, la cheratina delle ghiandaie è risultata spugnosa, cioè composta da una pletora di micro-fori». Questa complessa articolazione è mobile, capace cioè di cambiare struttura a piacimento: mobilità che, colpita dalla luce, permette agli uccelli di avere colori sempre brillanti che non ingrigiscono nel tempo come invece succede ai nostri capelli.
Il principio è lo stesso che ci permette di vedere il cielo blu: colore dato dall’interazione delle onde elettromagnetiche emesse dal sole con le particelle sospese nell’atmosfera. Allo stesso modo, i micro-fori sulle barbe delle piume assorbono la lunghezza d’onda della luce con maggiore o minore frequenza, cosicché «quando i fori si allargano il piumaggio appare blu. Se si restringono, e dunque disperdono le onde di luce, il colore cambia e può apparire perfino porpora». E siccome su diverse parti della penna possono coesistere fori di diverse dimensioni, sulla stessa penna coesistono diversi colori.
Già affascinante per la sua complessità fisica, la ricerca degli studiosi britannici in prospettiva offre anche un altro vantaggio: quello di poter essere, un giorno, imitata dall’uomo nei suoi meccanismi. Magari creando un tessuto che abbia le stesse capacità di essere manipolato su scala nanometrica. Immaginate, insomma, un giorno di poter lavare un maglione rosso con le camicie bianche senza che tutto si trasformi in rosa. Il dottor Parnell ne è certo. E all’Independent, che lo ha intervistato, spiega: «Se la natura ha saputo elaborare una struttura così complessa, un giorno saremo in grado di farlo sinteticamente anche noi». Se non proprio al volo come gli uccelli, almeno con i tempi della scienza.