la Repubblica, 23 dicembre 2015
Breve storia della servitù cinese
Vastità della Cina, cinesi a centinaia di milioni, sono loro il “popolo”. C’è stato un tempo in cui bisognava “servire il popolo”. Siamo tutti servitori si diceva una volta in Cina, e tutti servivano. Tutti erano servi, meno ovviamente qualcuno che cercava di non darlo a vedere anche se spesso si tradiva con il segno rosso del comando, ovvero un’alzata di sopracciglia, un gesto brusco della mano comunque imperioso. Ma anche costui era un compagno. Come lo erano i camerieri e gli inservienti nei locali pubblici, ossia ovunque visto che di locali privati non ce ne erano. I compagni servivano i compagni, era tutta una bella compagnia, un’eguaglianza assoluta. Tutti erano servi ma c’era qualcuno che lo era più degli altri. Più uguale degli altri, ovvero più servo degli altri?
C’erano soltanto gli stranieri che non erano ufficialmente proprio uguali ma a loro venivano con somma benevolenza concessi dei veri compagni ad uso domestico incaricati, oltre che di servire, di monitorare mattina e sera questi diseguali e di fare rapporto settimanale al ministero dal quale dipendevano perché tutti questi compagni domestici erano in realtà devoti pubblici funzionari, ossia spie, non importa se si presentassero come cuochi, bambinaie, portieri, addetti agli ascensori, lavandai e via dicendo, tutti spioni erano. I compagni-spia, li chiamavano così i diplomatici stranieri.
Ma che fine avevano mai fatto gli stuoli di servitori di una volta che popolavano le abitazioni di stranieri ricchi e di cinesi ricchi al punto che una signora inglese pare che abbia deciso di trasferirsi a vivere in Cina, a Pechino, siamo nel 1935, perché la servitù era “straordinaria”? E poi, costava niente, ma proprio niente. Mistero. Certo, non si trovavano più nemmeno allora servitori eunuchi, ma di stallieri, balie, giardinieri, cuochi ce ne erano a iosa. Scriveva nel 1912 un diplomatico italiano, Daniele Varè che «una delle più diffuse tra le nozioni sulla Cina è quella che riguarda la superiorità dei boys cinesi sui domestici di ogni altra nazionalità. Un buon boy sa procurare tutto, da un tovagliolo a un palinsesto, e tutto può essere affidato alle sue cure, dal mantenimento di un canarino a quello di una amante… Si chiamano boys i servitori di qualunque età, divisi in gradi gerarchici, come funzionari governativi, e come questi formanti una classe a parte, un imperium in imperio… Oltre alla paga i boys in Cina percepiscono – che il padrone lo voglia o no – una percentuale su tutto quello che egli compra. Questa percentuale si chiama squeeze e viene suddivisa tra i vari domestici della casa in quote diverse a seconda del rango… Se si riesce ad essere ben serviti dai domestici in Cina, lo si deve al fatto che sono in tanti; il cuoco, per esempio, ha sempre intorno a sé una scuola di discepoli che imparano il mestiere e che non sono pagati dal padrone di casa. Ma tutta questa gente è così assorta nei propri pensieri e nelle proprie faccende che “servono” molto distrattamente. Si dà loro un ordine e lo eseguiscono a modo loro. Quando avete domandato un whisky and soda, vi portano cinque pesciolini dorati in un vaso d’acqua. Era così anche al Palazzo Imperiale. L’imperatrice dava un ordine, e gli eunuchi si inginocchiavano per riceverlo e poi partivano per provvedere. Ma dopo un momento, uno di essi riappariva per domandare a mezza voce alle dame che cosa “il Vecchio Budda” avesse detto. Non avevano capito niente».
Pare che i compagni-spia servitori capissero in genere un po’ meglio degli eunuchi imperiali, il comunismo è, o era, progresso.
Ma ora siamo addirittura all’evoluzione della specie, un butler all’inglese ma con caratteristiche cinesi, proprio come il socialismo con caratteristiche cinesi che assomiglia tanto al capitalismo: vero o no, compagni del Partito comunista cinese? Sempre al governo, sempre «al vostro servizio, Ladies and Gentlemen».