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 2015  dicembre 23 Mercoledì calendario

L’arte di stirare il Quotidiano del Popolo. Così Downton Abbey fa scuola ai maggiordomi cinesi

Il problema di Tang Zhiyong è stirare il Quotidiano del Popolo: pagina per pagina, in modo che risulti nuovo e croccante fino a sera, per la lettura di ogni membro della famiglia, o per gli ospiti. Togliere le pieghe ai fogli non basta: deve riuscirci tenendo i piedi paralleli e con il torace inclinato a non più di trenta gradi. Superata la prova dell’omaggio elegante alla propaganda di Stato, si cimenterà con il bagno caldo. Qui la sfida è ottenere la temperatura perfetta non quando l’acqua affluisce nella vasca, ma quando il “piccolo imperatore” ci entrerà: non il lamento di un brivido, non il senso del lesso, ma la consolazione muta del tepore di una nuvola di piume. Anche un sigaro cubano esige di essere tagliato e acceso senza offendere le foglie del tabacco. Scegliere la bottiglia giusta e versare il vino nel cristallo sono invece incarichi da vertice delle responsabilità. In Cina pochi sanno farlo e gli eredi di Mao Zedong scoprono di essere spaventosamente scoperti sul fronte del galateo. I miliardari sono 596, i multi-milionari oltre cinque milioni: i maggiordomi che possono vantare una formazione britannica, poche decine. Per i freschi capitalisti rossi, non c’è dubbio, l’insufficiente offerta di “butlers” è fastidiosa. Possono allacciare Apple watch d’oro alle zampe del loro husky, ma non trovano qualcuno che sappia come si apparecchia una tavola, o che conosca la geografia che determina il posto degli invitati per cena.
La Cina però, anche oggi, resta la Cina: può farsi sorprendere dalla velocità di una tendenza, ma non lasciarla insoddisfatta per un tempo che superi la ragionevolezza degli affari. L’ultimo boom, quando si parla di istruzione, è così quello delle scuole che promettono di formare l’impeccabile maggiordomo inglese. A Shanghai, lo Yacht Club ha avviato i corsi di “gestione domestica”: per 4 mila euro al mese si insegna a coordinare squadre fino a otto collaboratori, capaci di governare ville da duemila metri quadri più giardino. Gli studenti, dal primo giorno, devono presentarsi in smoking nero, papillon e guanti bianchi. Un diploma da butler in tasca del resto è un investimento che rende più di una laurea in ingegneria, sogno classico del funzionario comunista. Un colletto bianco, a Pechino, guadagna meno di due mila euro al mese. Un assistente, capace di preparare la valigia adatta e di acquistare un volo sul web, almeno il triplo: cinque volte un operaio condannato in uno catena di montaggio dello Zheijang.
Anche i media di partito si sono dovuti arrendere. La professione del 2015 in Cina, assieme alle modelle online selezionate dai giganti dell’e-commerce, è il domestico. Un sondaggio della tivù di Stato, effettuato tra gli studenti prossimi a sostenere i test per l’accesso all’università, ha rivelato che la risposta preferita alla domanda «cosa vuoi fare da grande?» è «il maggiordomo di un miliardario». Vocazione ambiziosa, per una massa di ragazzi in fuga dai villaggi rurali delle regioni interne. Sono cresciuti nelle campagne, sanno ingrassare il pollame e mietere il grano, pensano che la gastronomia si fermi alla ciotola di riso e trovano naturale attingere dallo stesso bacino l’acqua per sciacquare la carne del maiale e quella da bere. Al «British Butler Institute», arrancante casa madre a Londra e prospere sedi distaccate in tutte le metropoli cinesi, il salto è ai limiti delle possibilità umane. «La nostra sfida – dice il direttore Gary Williams – è trasformare il figlio di un contadino dello Yunnan nell’assistente di uno dei businessmen più influenti dell’Asia. Il settore dei servizi in Cina sta esplodendo e per il personale di qualità si apre un mercato gigantesco». Se maggiordomi e cameriere sono profili rari, figuriamoci quale può essere l’offerta nazionale di docenti per istruirli. Prossima allo zero, al punto che anche la soluzione adottata è estrema: comprare direttamente le scuole, in Inghilterra, ma pure in Svizzera, Olanda e Francia. Perché alla seconda economia del mondo, epicentro globale dei miliardari ma pure patria della classe media più numerosa del pianeta, occorrono migliaia di butler, ma anche milioni di domestici per famiglie benestanti in cui entrambi i coniugi lavorano e milioni di badanti per anziani che, per la prima volta nella storia del Paese, vivono soli. Le esigenze dei “tuhao”, i capital- comunisti non affrancati dalla fase un po’ cafona, sono infinite. Il loro maggiordomo non può sbagliare lo shopping dell’alta moda italiana, deve trovare l’arredatore più contemporaneo, conoscere il protocollo internazionale e scovare il gallerista in condizione di consegnare una collezione d’arte rispettabile nel giro di poche settimane. Ci sono poi da educare i “fuerdai”, i figli del tuhao, ossia la seconda generazione dei nababbi cinesi, ossessionati da Internet e inclini al sovrappeso. Fosse per loro, accenderebbero il caminetto con rotoli di yuan e si farebbero filmare mentre sfasciano la Ferrari nel Gran Premio di famiglia, corso in notturna tra i viali del parco privato. «Servono maggiordomi – dice Liu Yang, presidente dell’istituto “Meyu Home Service” di Guangzhou – ma prima di tutto educatori colti, istruttori e baby sitter che scongiurino il rischio di una Cina consegnata a un esercito di mantenuti capricciosi». Per questo, nelle scuole, il training è crudele. Gli allievi, cresciuti con il mito di Confucio e affascinati dalla crudeltà delle corti imperiali fondate sugli eunuchi, si scontrano con il “modello Alfred” della saga hollywoodiana di Batman, o con lo “stile Carson”, della serie inglese Downton Abbey. Metà studi in Cina e metà in Europa, tre lingue straniere, abitudine ad anticipare i desideri del datore di lavoro, cura maniacale dei dettagli, cultura enciclopedica, riservatezza da agente segreto e fedeltà canina. «È il livello del butler – dice Yang Xueping, primo docente cinese della scuola per maggiordomi di Chengdu – a stilare la classifica sociale di ogni megalopoli. In un Paese dove le relazioni sono tutto, accogliere amici e ospiti rappresenta la condizione essenziale del successo».
Gli storici templi europei delle buone maniere si stanno attrezzando. Primo passo: offrire corsi anche di cucina cinese, di “cerimonia del thè”, di calligrafia, o di “conversazione letteraria di epoca Ming”. Il maggiordomo all’inglese diventa così il vettore per recuperare la tradizione cinese e l’educazione occidentale assume la missione di ricostruire i valori spazzati via dalla rivoluzione maoista. È un servizio necessario anche agli hotel, ma che rappresenta ormai un bonus scontato nelle agenzie immobiliari. Chi investe in jet, yacht e residenze da favola, spesso un incubo di cattivo gusto, pretende che il costruttore metta a disposizione il personale all’altezza per conservarle sempre in uno stato ideale. «Lo sconto sul prezzo al metro quadro lascia indifferenti – dice Fang Petersen, manager del “British Butler Institute” di Shenzhen – mentre l’offerta di un maggiordomo garantito, di un pilota esperto, o di un giardiniere straordinario, è decisiva. Il segreto è formare professionisti con standard internazionali, ma dotati di un approccio cinese alla vita».
Per la leadership comunista la preoccupazione infatti è che non solo i soldi del capitalismo, ma pure i domestici della nascente borghesia interna, possano importare «l’aspirazione a nuove libertà e l’invaghimento per vecchi vizi occidentali». Un neo-colonialismo silenzioso a colpi di bon-ton, in cui la cura del guardaroba risulti infine più influente delle stesse opere del presidente Xi Jinping, pur regalate in decine di milioni di copie. «Non sarà un’altra guerra dell’oppio – dice Pu Yan, capo del marketing della web “International Butler Academy” aperta su Taobao – ma è chiaro che la cura occidentale del nuovi imperatori cinesi non può ignorare l’egemonia culturale del partito-Stato». Per questo Tang Zhiyong oggi impara, anacronisticamente, come si stira un giornale di carta: e per garantirsi un futuro deve farlo, senza considerare la realtà, cancellando le pieghe da un “Quotidiano” di quel “Popolo” che non esiste più.