la Repubblica, 23 dicembre 2015
Caso Caccia, un colpevole dopo 32 anni. Il giudice fu ammazzato da un panettiere di Torino, incastrato da una lettera anonima
Uno scatto di fantasia degli investigatori, l’idea di inviare una lettera anonima per risvegliare le discussioni su un delitto di 32 anni fa, ha incastrato Rocco Schirripa, 64 anni, panettiere a Torino, e secondo la procura di Milano esecutore materiale dell’omicidio del magistrato Bruno Caccia. Schirripa è stato arrestato dagli uomini della squadra mobile, ieri mattina presto, poco dopo le 6.30, quando piazza Campanella, alla periferia Ovest della città, si stava appena svegliando. Gli abitanti e gli ambulanti che montavano i banchi hanno sentito arrivare auto della polizia a sirene spiegate, e un elicottero in volo sulla zona. Rocco Schirripa è stato preso mentre spazzava il marciapiede della panetteria di famiglia dove lavora da sei anni. Aveva ancora indosso il grembiule da laboratorio.
«Erano tantissimi, sono entrati dalla porta principale e anche dal retro del negozio», ha raccontato il giornalaio della piazza. E la barista accanto alla panetteria di dolci tipici calabresi: «Prima di capire cosa stesse succedendo abbiamo pensato a un attentato». Schirripa è stato portato prima negli uffici della questura di Torino e poi nel carcere di San Vittore, a Milano, dove oggi sarà interrogato per la prima volta. Ma il suo avvocato, Basilio Foti, anticipa: «Quasi certamente non risponderà alle domande dei magistrati».
Poteva restare uno dei tanti misteri irrisolti d’Italia. Invece, a distanza di oltre trent’anni, alla soluzione dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia si aggiunge un nuovo, importante, tassello. Secondo gli investigatori milanesi, che hanno riaperto l’inchiesta dopo molti anni, su sollecitazioni della famiglia Caccia, Rocco Schirripa fece parte del commando che il 26 giugno 1983 uccise a colpi di pistola il magistrato. Sull’auto da cui sono partiti i proiettili che hanno ucciso, c’era molto probabilmente anche Domenico Belfiore, della cosca di Gioiosa Ionica, considerato fino a oggi il mandante dell’omicidio (e condannato all’ergastolo con questa accusa).
Il nuovo sviluppo consolida la pista di sempre: fu un delitto di ‘ndrangheta. Caccia è l’unico magistrato eliminato dalle cosche nel Nord Italia. Che hanno voluto colpire la sua intransigenza, il suo rigore, la sua determinazione nel combattere la malavita.
Per i titolari dell’inchiesta, il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e il sostituto procuratore Marcello Tatangelo, «è Schirripa l’uomo che quella sera si trovava alla guida della Fiat 128 verde dalla quale spararono al procuratore, lui scese per raggiungerlo con gli ultimi colpi di grazia». Chiamato dagli amici Rocco “Barca”, per l’antimafia fa parte del “locale” di Moncalieri (città della cintura di Torino) della ‘ndrangheta. Nel giardino della sua villetta, a Torrazza Piemonte, era ben visibile un fantoccio vestito come il Padrino. Nel 2011 rimase coinvolto nell’inchiesta Minotauro e ne uscì patteggiando una pena a 20 mesi.
Quella sera di 32 anni fa Bruno Caccia stava passeggiando con il cane sotto casa, lungo una strada della precollina torinese, quando venne affiancato dal’auto. Il conducente sparò per primo, il passeggero scese e completò l’opera. Ma per quel delitto fino a ieri esisteva solo un mandante: Domenico Belfiore, condannato nel 1989.
Nel 1996 un pentito, per primo, fece il nome di Schirripa. I magistrati ritennero la soffiata di scarsa utilità dal punto di vista giudiziario. Poi, lo scorso giugno, Belfiore è uscito dal carcere per gravi motivi di salute. E nella cosca è scoppiata la bomba. Innescata dalla lettera anonima inviata dalla squadra mobile a Domenico Belfiore, al fratello Giuseppe, e al cognato Placido Barresi. Nella busta c’era il ritaglio di un giornale che parlava del vecchio omicidio e i nomi dei presunti responsabili, Schirripa compreso. Quelli che conoscevano i dettagli hanno ripreso a parlarne. Compulsivamente. Dalle conversazioni intercettate emerge secondo la procura che il panettiere era su quell’auto. Placido Barresi lo tranquillizza al telefono: «Ti sei fatto trent’anni tranquillo, fattene altri trenta tranquillo» gli dice. Una frase che finirà per inchiodarlo.