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 2015  dicembre 23 Mercoledì calendario

«Avete scritto di tutto, mi trovo imputato di tutto, senza avere...». Rosi, l’ex presidente di Banca Etruria, risponde al telefono

Lorenzo Rosi, l’ex presidente di Banca Popolare Etruria, si sente come un parafulmine nella tempesta. Claudio Salini, per anni al vertice della Consob (segretario generale) lasciata nel giugno 2013, batte il tasto del «matrimonio» che si doveva fare.
Tutti, anche quelli che «preferiscono non comparire», sentono il peso di una banca che gli è crollata addosso, trascinandosi dietro il risparmio di migliaia di persone. E poi le accuse e gli interrogativi che si rincorrono: chi è responsabile? I verbali ispettivi della Banca d’Italia, i filoni dell’inchiesta penale che si moltiplicano ogni settimana. Ma loro, i consiglieri di amministrazione della Banca Popolare Etruria dove sono? Cosa dicono? Uno esibisce amaramente un articolo di Arezzo Notizie del 17 novembre, pochi giorni prima del decreto «Salva banche». Sottolineate le parole del commissario Antonio Pironti: «I soci e i creditori della banca si sono meritati tutti i nostri sforzi, una soluzione ai problemi di Banca Etruria sembra a portata di mano». L’ex consigliere dimentica di essere concausa di quegli enormi problemi ma per lui dev’essere un dettaglio.
Rosi, l’ultimo presidente, in consiglio di amministrazione dal 2008, risponde al telefono quei dieci-quindici secondi giusto per dire: «Avete scritto di tutto, mi trovo imputato di tutto, senza avere...». E qui deve essersi improvvisamente ricordato le raccomandazione dell’avvocato: «Non parlare con i giornalisti». Infatti s’avvale della facoltà di non rispondere oltre. Per anni, accanto a pochi tecnici si sono succeduti consiglieri incompetenti, belle statuine, passacarte di ciò che decideva un pugno di persone al vertice, l’«Alta direzione», cioè il vero centro di potere della banca. È così che fotografa la governance l’ispettore della Vigilanza di Bankitalia, Emanuele Gatti, nel 2013, quando presidente era Giuseppe Fornasari (uscito nell’aprile 2014) e direttore generale Luca Bronchi (fuori a giugno 2014). Già, Bronchi, premiato con stipendi in crescita dal 2009 al 2014 (da 420 a 630 mila euro annui) con la banca che intanto ha perso la bellezza di 800 milioni. Solo un consigliere, Giovanni Grazzini, entrato a maggio 2014, si è messo di traverso quando è stata votata una buonuscita da 900 mila euro per Bronchi. «Ho giudicato quella somma troppo alta – ha detto – mi sono astenuto e ho fatto mettere a verbale le motivazioni». Pochi lo sanno ma esiste anche la possibilità di votare contro. Non è reato.
Salini, l’uomo ex Consob con grande esperienza di mercato, è da poco in pensione quando nell’ottobre 2013 entra in Etruria per uscire la primavera successiva e rientrare a luglio. «Sono arrivato a conclusione dell’ispezione Bankitalia del 2013. Si operava in una situazione difficile». E l’obiettivo era solo «trovare un’alleanza e contemporaneamente gestire correttamente la banca in una situazione di supervisione di Bankitalia». Un partner era necessario, anzi «il risultato ispettivo e la lettera del governatore Visco facevano un quadro chiaro con l’indicazione che da soli non si poteva andare avanti. E il cda era d’accordo, anche quello rinnovato a primavera. Mai sono venuti meno il desiderio e la necessità di integrazione». Ma a un certo punto è arrivato prima il gong del commissariamento.