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 2015  dicembre 22 Martedì calendario

Intervista al nuovo ad di Rcs Laura Cioli

Per il neo ad di Rcs, Laura Cioli, «la finanza deve essere a servizio del business e non il contrario». Per questo prima di rinegoziare il debito, ha voluto avere un piano su cui discutere con le banche con senso di responsabilità. Oltre ad avere fissato gli obiettivi, ha introdotto un meccanismo di monitoraggio per poter intervenire tempestivamente a fronte di scostamenti, perchè – dice – «è importante sperimentare, ma non si può adattare in corsa gli obiettivi a un contesto che cambia rapidamente: quel che è scritto va realizzato». Nel piano c’è la previsione di raddoppiare l’Ebitda a 140 milioni nel triennio e a ricondurre il rapporto net debt/Ebitda intorno a 2.
Poco più di un mese fa avete messo in dubbio la continuità aziendale. Oggi prevedete per fine anno un Ebitda di 70 milioni, pre oneri non ricorrenti, contro un dato di 17,4 milioni nei primi nove mesi. È l’effetto della cessione di Libri o una sorpresa?
Abbiamo un business molto stagionale. Il dato è in linea con le attese: non è cambiato niente.
Perché avete lanciato l’allarme allora?
Questo era dovuto ai covenant sui prestiti che non abbiamo rispettato. La differenza è che oggi abbiamo un piano per poter parlare con le banche delle prospettive aziendali. E abbiamo una nuova delega ad aumentare il capitale, eliminando la tensione sulla scadenza di fine anno.
Non si rischia di rinviare semplicemente il problema?
Il mercato temeva che l’aumento di capitale fosse imminente e fosse fatto per rimborsare le banche. Ma non era questo l’interesse aziendale. Ora, se eserciteremo la delega, lo faremo per eventuali iniziative di sviluppo legate al piano e non per altro.
E le banche vi seguono?
Se implementeremo il piano non saremo un cattivo affare per loro: i nostri ratio saranno tra i migliori del mercato.
Nei 100-120 milioni di ricavato dalle vendite rientra anche la Libri: la stagione delle dismissioni è finita?
Non c’è spazio, né è ragionevole, né c’è la necessità di fare altre cessioni. L’area dello sport e la Spagna sono tasselli fondamentali della strategia di sviluppo.
Quindi, in sostanza, da cedere c’è ancora solo Veo, i mux spagnoli.
Venderemo solo in presenza di una valorizzazione opportuna, che per noi è superiore a 50 milioni, altrimenti ce la teniamo. Nel piano abbiamo messo la previsione di incassare 25 milioni, nell’ambito di un’operazione che comprende la cessione solo del 25% di Veo.
Cosa c’è di vero nelle indiscrezioni che danno per imminente un’offerta da 80 milioni di Wanda/Infront per l’area sport?
Falso che ci sia una trattativa in corso: 80 milioni è un valore assurdo rispetto ai 20-25 milioni di Ebitda che contiamo di ottenere da quell’area. È vero che c’è un grande interesse per l’asset se fosse in vendita. Ma non abbiamo intenzione di vendere. Semmai più avanti, non certo il prossimo anno, potremo considerare una partnership se ci fosse l’esigenza di ampliare le dimensioni di scala. Il piano punta a valorizzare eventi e format, da una parte, e dall’altra gli asset editoriali, Gazzetta e Marca, attraverso l’espansione internazionale: c’è un bacino di 500 milioni di persone di lingua spagnola.
E Gazzetta tv?
Puntiamo alla sostenibilità nel tempo. Dalle analisi fatte Gazzetta tv non è in queste condizioni oggi, né lo sarà domani. È un’attività che richiede investimenti importanti in diritti che non possiamo permetterci. E non vogliamo mettere a repentaglio il valore del brand con iniziative che non sono nelle nostre corde. Stiamo pensando piuttosto di sfruttare le competenze che abbiamo maturato nel video, spostandoci dal canale televisivo al web.
I risparmi: 60 milioni di efficienze nette. Come ci si raccorda col dato storico di 220 milioni di tagli “lordi”?
Non sono dati confrontabili. Dei 60 milioni di efficienze, 45 derivano da costi esterni, tutto quello che viene gestito dalla direzione acquisti. Gli altri 15 vengono dal costo del lavoro: il dato lordo sarebbe di 40 milioni. Comunque i 60 milioni di risparmi abbasseranno l’incidenza dei costi sui ricavi dal 66% al 60%: in gioco ci sono 6 punti di Ebitda.
Dell’incremento previsto di Ebitda, 15 milioni nel triennio derivano da iniziative di sviluppo nei prodotti core: di cosa si tratta?
È quello che chiamiamo “andare oltre il digitale”. I mercati tradizionali sono in contrazione, ma il digitale è solo una parte della trasformazione. Per esempio a luglio abbiamo lanciato a pagamento La lettura, che era un inserto del Corriere. In pochissimo tempo ha prodotto ricavi annualizzati superiori ai 2 milioni, con una marginalità del 25%-30%.
A gennaio introdurrete il pay-wall per il sito del Corriere. Non è un azzardo per contenuti generalisti?
Esistono esempi di successo in tal senso, dal New York Times al Wall Street Journal. Non è strettamente una questione di guadagno, ma di principio per valorizzare i contenuti di qualità.