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 2015  dicembre 22 Martedì calendario

Bossetti vuole il braccialetto elettronico per tornare a casa a Natale

E l’avvocato Enrico Pelillo, gelido, sibilò nel microfono: «Ho sentito che il mio collega Camporini ha detto – per sostenere la sua richiesta! – che Yara e l’imputato abitano mondi diversi...». Pausa, fremito, la voce si alza: «Su questo sono d’accordo». La conclusione diventa un ruggito: «Già! Abitano mondi diversi perché la vittima è al creatore, e l’imputato, invece, oggi è ancora vivo!». E sbàaam, rumore di microfono spinto di lato.
Massimo Bossetti può ottenere gli arresti domiciliari? È bastato che risuonasse questa domanda – posta a sorpresa dagli avvocati alla fine di una udienza apparentemente a bassa intensità – perché nell’aula del Tribunale di Bergamo avvampasse la polemica. Ancora una volta il processo di Yara è diventato il terreno di una battaglia più grande, addirittura uno dei primi banchi di prova per testare le nuove norme sulla custodia cautelare, varate dal Parlamento ed entrate in vigore dopo l’ultimo pronunciamento sulla permanenza in carcere di Bossetti.
Davvero è un processo in cui non ci si annoia. Prendete ieri: doveva essere una udienza-lampo, quattro testi minori dell’accusa. Senonché, quando al termine dell’ultima pausa nell’aula di Bergamo iniziano a scambiarsi gli auguri, improvvisamente si alza l’avvocato Paolo Camporini. Tono pacato e solenne, ma una qualche emozione: «Presidente, la difesa ritiene che sia giunto il momento di porre una istanza». Su tutti si abbatte il silenzio, e Camporini cala le sue carte. Sa che in questo momento del processo la Corte, cioè la presidente Antonella Bertoja e i giurati popolari, sono in tutto e per tutto sovrani sull’imputato. E così l’avvocato spiega su cosa la Difesa li vuole chiamare a pronunciarsi: «Riteniamo – esordisce Camporini – che adesso abbiate un quadro più ampio della situazione, delle persone. Non ci interessa qui affrontare la questione dei gravi indizi di colpevolezza per non turbare la serenità della Corte. Ma vogliamo sollevare la questione della nuova legge votata dal parlamento, entrata in vigore a maggio, che contiene una novità dirompente sul tema della custodia cautelare». E la novità riguarda proprio il nuovo uso di uno strumento, il braccialetto elettronico: «Prima di questa legge – aggiunge Camporini – i giudizi di sorveglianza dovevano motivare perché lo adottavano. Adesso accade esattamente il contrario: se non si concede e si ricorre al carcere, bisogna spiegare perché». Camporini e Salvagni spiegano ai giurati, come ad un seminario per studenti di giurisprudenza, perché secondo loro Bossetti può tornare a casa: «In questo momento – osserva Camporini – potete constatare che non esiste pericolo di fuga, per almeno due motivi: primo, perché l’imputato ha una famiglia e non intende certo abbandonarla. E, secondo, perché non lo ha fatto in quattro anni. Non esiste pericolo di inquinamento delle prove, infine, perché l’inchiesta è finita… Bossetti quindi – conclude – è in carcere solo per due motivi giuridici: perché il suo reato é “grave”, e per il rischio della reiterazione del reato. Ma il motivo del cosiddetto “grave reato” è stato attenuato dalla nuova legge, e la reiterazione del reato è impossibile, soprattutto con un braccialetto al piede». Bossetti, si associa Salvagni, «è incensurato: in carcere ha tenuto un comportamento esemplare. Ha mostrato di accettare la pena. La possibilità che commetta un altro omicidio è nulla».
Curioso. Mentre gli avvocati parlano, con tanta passione, noto che la presidente Bertoja sfoglia (quasi ostentatamente) ritagli di giornale: una manifestazione di indifferenza? Come molte donne riesce a fare bene due cose insieme? Camporini ha ancora l’ultima cartuccia da sparare: «Sapete che Bossetti abita in una via senza uscita: non può scappare, ed è facilmente sorvegliabile». Lui e Salvagni smettono di parlare, la Bertoja chiede a Bossetti se accetterebbe la misura: «Certamente!», esclama il muratore. E a quel punto tutto si accende. Subito prende la parola la pm Letizia Ruggeri: «Presidente – dice – lei sa che mi sono già pronunciata! Ma voglio aggiungere subito che non ritengo esistano, nello specifico le condizioni per questo provvedimento! Proprio no! Non sono intervenute a mio parere – aggiunge – le significative novità legislative illustrate dagli avvocati. E infine gli elementi a carico di Bossetti sono sempre gli stessi che hanno portato al rigetto dell’istanza da parte di altre Corti!». Ma il più arrabbiato stavolta è proprio Pelillo, legale della famiglia Gambirasio: «Sfruttando il clima natalizio, e ora capisco perché – sottolinea con malizia – un imputato che è rimasto silente davanti alle immagini più raccapriccianti, ha già preso, in pochi giorni, la parola tre volte. Bene – aggiunge Pelillo – la difesa dice che non c’è il rischio della reiterazione del crimine evocando l’esempio del marito che non può uccidere due volte la moglie?». Altra pausa, tono teatrale: «Bene, io invece devo dire che di ragazzine di tredici anni in giro ne vedo tanteee!».
Ogni volta che si vota una legge, in Italia, bisogna attendere il collaudo. Mai avrei pensato che il banco di questi provvedimenti garantisti diventasse proprio la giuria di Bergamo. Guardo la Bertoja, insolitamente silenziosa (di solido guida il processo con ogni poro), guardo i giurati, fascia tricolore, volti impassibili. Sono consapevoli che quello che decideranno, “de facto”, come dicono gli studiosi di legge, farà ancora una volta giurisprudenza? La Corte che ha ascoltato le due campane senza proferire parola, ha cinque giorni di tempo per pronunciarsi. Recependo lo spirito delle nuove norme riconoscerà che dopo un anno e mezzo di carcere (e senza nessuna condanna) Bossetti può tornare a casa? Oppure, continuando a seguire il regime di prima, seguirà ancora l’interpretazione preferita dei pm, quella per cui – anche senza pericolo di fuga, reiterazione del reato o inquinamento delle prove – il carcere cautelare diventa una sorta di anticipo della pena? Pochi giorni fa (anche se la decisione non è stata pubblicizzata) la Bertoja ha mostrato spirito garantista concedendo a Bossetti un permesso eccezionale di due ore per visitare (forse per l’ultima volta) il padre, malato terminale (per i medici è giunto agli ultimi giorni). Si commuove, la sorella gemella Anna Laura: «L’ultima volta che si sono parlati, perché papà era cosciente, Massimo gli ha detto: “Papà, te lo giuro su quello che ho di più caro, sui miei figli. Non ho fatto nulla di quello che dicono!”». L’ultima parola le si spezza in bocca. Si commuove anche lei. Se la Corte accetta, sarà un regalo di Natale di cui discuterà l’Italia.