MilanoFinanza, 22 dicembre 2015
Cinque motivi per cui non ci sarà una Brexit
È difficile prevedere l’esito dei referendum, motivo per cui i leader politici, se possono evitarlo, non si esprimono al riguardo. Cameron ha però capito di non avere altra scelta, e il momento della consultazione si sta avvicinando rapidamente: a seguito di un summit dei leader dell’Unione della scorsa settimana, si è dichiarato fiducioso che presto avrebbe garantito il promesso pacchetto di modifiche dei termini di adesione della Gran Bretagna, preparando il terreno per arrivare a una soluzione della questione nell’arco del prossimo anno.
È opinione diffusa che l’esito del referendum sia sul filo del rasoio: i sondaggi mostrano l’elettorato equamente diviso.
Nonostante la fiducia di Cameron di potersi assicurare un accordo soddisfacente, il fronte antieuropeista ha allegramente sottolineato che nulla ridurrà il flusso di cittadini dell’Unione che si trasferiscono a lavorare nel Regno Unito, che i sondaggi dimostrano essere la questione più importante agli occhi degli elettori. Ciononostante, nelle ultime settimane sono emersi con chiarezza molti elementi a suggerire che l’opinione diffusa potrebbe essere errata. In primo luogo è ormai evidente, se mai ci fossero stati dubbi, che Cameron si batterà per il mantenimento dell’adesione all’Unione qualunque sia l’esito delle trattative. Anche se ufficialmente tutte le opzioni restano aperte, i suoi sforzi sono concentrati nel mantenere la Gran Bretagna all’interno dell’Unione Europea.
Secondo, Cameron potrebbe incontrare una resistenza politica minore di quanto comunemente presupposto. Gli euroscettici richiedono che i ministri del governo abbiano il permesso di fare campagna a favore dell’uscita dall’Ue, ma Cameron si è assicurato il totale sostegno del governo alla propria strategia negoziale, in modo che qualsiasi ministro che intenda sfidare la sua gestione sia costretto a dimettersi. È possibile che un paio di figure marginali possano uscire, ma le personalità di spicco sanno che se sfidassero Cameron e la campagna anti-Eu perdesse, la loro carriera politica giungerebbe al capolinea.
In terzo luogo, la campagna contro l’Ue è allo sbando, nonostante l’apparente consolidamento espresso nei sondaggi. Infatti non si tratta di una, ma di due linee profondamente divise a livello personale e politico. La loro sfida è convincere l’elettorato che lo status quo sia intollerabile e che esista un’alternativa migliore. Tuttavia non concordano tra loro sul futuro della Gran Bretagna al di fuori dell’Unione Europea, sia che cerchi di mantenere l’adesione al mercato unico e pertanto continui a essere soggetta alle norme Ue, compreso il diritto dei cittadini dell’Unione di vivere e lavorare in Gran Bretagna, sia, in caso contrario, sotto quale forma ridefinire la nuova relazione e come persuadere gli altri 27 Paesi del blocco con diritto di veto a concordare.
Quarto punto, quello che appare come l’argomento più forte degli euroscettici potrebbe dimostrarsi il più debole. Non vi è alcun dubbio che la crisi migratoria e la minaccia terroristica si siano coniugate nella mente dell’opinione pubblica in una narrazione semplicistica che punta il dito contro l’incompetenza dell’Unione, contro la quale l’unica speranza per il Regno Unito consiste nell’uscita. In realtà, le ultime crisi dimostrano il contrario: l’Europa deve fare i conti con profonde sfide comuni nel campo della sicurezza che richiedono una risposta comune.
L’ultimo aspetto da valutare è che il referendum è un’altra forma della stessa lotta politica in scena in tutta Europa che Marine Le Pen, leader del Front National, ha tracciato come un confronto tra i nazionalisti e i sostenitori della globalizzazione. Agli euroscettici britannici potrebbe non piacere di essere accomunati alla Le Pen, ma stanno facendo leva sullo stesso elettorato. E secondo quanto emerso dalle ultime elezioni europee, incluse le regionali francesi in cui il Front National non ha vinto alcuno scontro.
(traduzione di Giorgia Crespi)
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