ItaliaOggi, 22 dicembre 2015
Elogio dei talk show di La7
Lo confesso, per la nascita dei miei Camei (solo quelli politico-economici) i talk show di La 7 fungono da levatrice: il liquido seminale è delle élite, l’utero (in affitto) è dei politici, io mi limito a osservare i loro amplessi e scrivere. Mediaset è in una fase involutiva, come il Milan. RAI ormai si aggrappa all’eleganza di Nicola Porro, la crisi di Ballarò pare infinita, il silenzio del nuovo direttore generale suona minaccioso, la trasformerà mica in una Leopolda de noantri?
Noi quattro gatti di analisti indipendenti scriviamo pezzi dall’elaborazione sempre più faticosa (dobbiamo evitare il marchio d’infamia di gufi), l’uscita di Ferruccio De Bortoli e di Ezio Mauro non ha certo aiutato. I miei amici renziani, persone perbene legate al sogno di ringiovanimento della classe dominante, tacciono.
La condanna in Cassazione di Berlusconi dell’agosto 2013 gettò i talk show nello sconforto, per loro cominciò una lunga traversata del deserto, conclusasi pochi mesi fa, quando i comportamenti organizzativi di Matteo Renzi si sono manifestati per quello che sono. È un primo della classe, e anche un bravo capoclasse, circondato e protetto da quelli dei primi banchi, apprezzato dal Preside (in fondo è come lui), ma ormai quelli degli altri banchi rumoreggiano, non lo riconoscono, non lo temono. Deve inventarsi qualcosa, lo farà.
Dal momento in cui ha cominciato a perdere colpi, non fa più comunicazione, ma banali comizi, l’estensione della voce è diventata da mezzosoprano (due ottave), alla Leopolda è giunto persino all’imbarazzante «do sovracuto». I talk show, crudeli, pensano di tornare all’antico splendore trattandolo, a sua insaputa, come Yorick.
La crisi comunicazionale del premier si è subito riverberata su giornalisti e intellettuali di sistema, che nei talk fungono da Lothar di Palazzo Chigi. Costoro, scaltri, percepiscono la sua debolezza, la interiorizzano al punto da comportarsi come tante Dolly, a loro insaputa, lo danneggiano.
Urbano Cairo per primo ha intuito la rinascita dei talk, ne ha inseriti di nuovi (eccellente Tagadà), altri li ha riposizionati, per esempio la Gabbia la consideravo strutturalmente volgare, mi ero sbagliato. Prendiamo il caso Banca Etruria-Bankitalia-Consob (il Governo non c’entra), è un fatto così volgare (politicamente e umanamente) che solo un media volgare può raccontarlo (bravo Paragone a sacrificarsi). Poi, ecco il capolavoro di autori e conduttori di La7: scegliere come esperti tre personaggi oggi al top, Travaglio, Giannino, Sgarbi, nelle loro nuove livree comunicazionali.
Marco Travaglio, liberatosi del fantasma B. che lo ha condizionato in passato, è oggi il giornalista che meglio interpreta la comunicazione politica televisiva, la sua padronanza assoluta dei problemi, come quadro di riferimento, come sommatoria di dettagli, come sintesi, è tale che i Lothar di regime con lui soccombono rovinosamente.
Oscar Giannino copre con dottrina e con fresco linguaggio il versante economico, per esempio, la sua lettura del caso Etruria & Co. è stata l’unica corretta fin dall’inizio. Ha capito per primo, e ha pure avuto il coraggio di dirlo (chapeau, caro Oscar) che Boschi e Renzi sono due figurine innocenti, il marcio sta altrove. Dove? Nei Regolatori, modo elegante per dire Bankitalia, Consob, Bce, Ue. Comunque, si tenga fuori la povera Maria Elena Boschi, lei non c’entra, è una farfallina, il mondo sul quale ha volteggiato lo conosciamo, è il mondezzaio catto-comunista d’antan, parlano inglese, ma sono quelli di sempre. Altro che il ridicolo «allora abbiamo una banca», nel centro d’Italia costoro le banche (e non solo) le hanno da sempre, ma non sapevano gestirle correttamente, tutto qua. Quando la sinistra si traveste da liberale fa scompisciare dal ridere. Sempre su La7, un acuto Giorgio Meletti ha colto il potenziale distruttivo di questa vicenda, di cui, temo, Renzi non si sia ancora reso conto.
Vittorio Sgarbi è l’André Iniesta dei talk show, gioca in qualsiasi ruolo, e segna pure, in questo momento è al massimo della sua maturità. Il celebre ciuffo (la sua parte femminile) è entrato in menopausa, non lo irrita più, così si è sciolto, umanizzato, il suo linguaggio depurato (Chenòt?), le parolacce limitate al mondo caprino, i giovani lo apprezzano, perché sa leggere la politica in modo non convenzionale.
In questa confusione di parole, scelgo una frase dal sen sfuggita a Pier Carlo Padoan: «Un’ipotesi di stagnazione secolare non è peregrina». Detta da lui è la notizia dell’anno. Dio lo voglia, così avremo davanti 80 anni per tornare umani (ci vogliono tutti), certo le attuali leadership sarebbero da buttare. Ce ne faremo una ragione.