il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2015
Il peso del fischio dell’arbitro
C’era una volta il fattore campo. È saltato, sotto Natale, come un tappo di champagne. L’ultimo giro prima della sosta ha fornito sei vittorie in trasferta, un pareggio e la miseria di tre successi casalinghi. Non è una novità assoluta, ma ha contribuito ad agitare lo spirito del tempo. I tre punti, in vigore dal 1994-95, lo sbarco massiccio delle televisioni (positivo, in questo caso) e l’effervescenza tattica hanno limato quelle differenze che, in passato, avevano fissato confini drastici.
Ci troviamo di fronte a un campionato “manicomio” che rende folli anche i pronostici. La scorsa stagione, dopo 17 giornate, la classifica recitava questa filastrocca: Juventus 40, Roma 39, Lazio e Napoli 30, Genoa e Sampdoria 27, Milan e Palermo 25, Fiorentina 24, Sassuolo 23, Inter e Udinese 22. Oggi, viceversa, offre il seguente panorama: Inter 36, Fiorentina e Napoli 35, Juventus 33, Roma 32 (e Milan 28). Cinque squadre in quattro punti. Con gli ex tiranni di Allegri in forsennata rimonta.
C’è tensione all’interno della tribù arbitrale. Agli Europei francesi dell’anno prossimo andrà il “solito” Rizzoli. Rocchi, alla notizia, era furibondo. Mai che lo prendano in considerazione. Non li invidio, gli arbitri. Alla ripresa, il mercoledì della Befana, ogni sfida – e, dunque, ogni fischio – peseranno quintali. I moviolisti si stanno leccando i baffi: l’equilibrio spalanca scenari libidinosissimi, nulla a che vedere con la noia degli ultimi tornei, che a gennaio la Juventus aveva già vinto. Pronto lo slogan: questione di centimetri. E pronte le intemerate: “Scandaloso”, così Zamparini ha bollato il Fabbri di Sampdoria-Palermo. Per fortuna, hanno introdotto la goal line technology, battezzata a Bergamo dal primo rigore di Hamsik. Tutti sull’attenti, persino gli ultras atalantini.
Un ingorgo del genere, lassù in cima, non si registrava dal 2002-2003: Milan 39, Inter e Lazio 36, Juventus 35. Vinse la Juventus. Brutta botta quella che l’Inter ha preso dalla Lazio. Pioli sembrava alla frutta e la squadra in barca. Mai fidarsi delle verità millantate: meglio le apparenze, a volte. Le giostre “scambiste” di Mancini, in compenso, non hanno pagato. E Felipe Melo – tra rigore procurato ed espulsione – non è più l’idolo del popolo nerazzurro: è tornato il selvaggio dell’epoca juventina.
Segna poco l’Inter, segna tanto Higuain (16 gol). Pure questo, un disco già sentito. La doppietta di Bergamo è la quinta. Higuain sta al Napoli come Ibrahimovic stava alla Juventus, all’Inter o al Milan. E la Fiorentina di Paulo Sousa? Sculacciata a Torino, eliminata in Coppa dal Carpi: l’Arno cominciava a mormorare. Bernardeschi, Kalinic e Ilicic hanno sistemato il Chievo e cementato gli argini.
E la Juventus? Sette vittorie consecutive, l’ultima a Modena, contro un Carpi catenacciaro ma vivo. Il 28 ottobre, dopo il ko di Reggio Emilia con il Sassuolo, Madama distava dalla vetta qualcosa come undici punti. Sono scesi a tre. Allegri l’aveva buttata lì: i conti li faremo a Natale. Ai gol di Dybala si sono aggiunte le reti di Mandzukic, in acrobazia e di forza, secondo il repertorio del centravanti che usa le ante come fionde. Una Juventus al piccolo trotto, zavorrata dalle amnesie di Bonucci. Molle, svagata, bisognosa di “schiaffi”, da Ilicic a Borriello. Le rincorse pesano: chi è davanti può sbagliare; chi è dietro, no.
Tranne l’Inter, hanno vinto tutte le grandi o sedicenti tali, compreso quel Milan che a Frosinone rimetteva in gioco, sai che fantasia, la panchina di Mihajlovic. La Roma, prigioniera del contratto di Garcia, ha liquidato il Genoa e deciso di tirare avanti così, con il fiato dei tifosi sul collo.
Nessun dubbio, per concludere, sulla sorpresa d’autunno: l’Empoli di Giampaolo. Quattro successi di fila e vi raccomando la qualità. A Bologna sono ancora lì che applaudono. Eppure non c’è più Sarri e non ci sono più Sepe, Hysaj, Rugani, Valdifiori, Vecino. Colonne portanti. Se la classe non è acqua, la società “è”. Patti chiari e strategia lunga.